Isla del Coco
05:36:72 N 86:38:91 W Stamane, alle prime luci dell’alba,
abbiamo avvistato l’alta sagoma della Isla del Coco. Sulle carte nautiche le coordinate
05°31’12” N 087°02’73” W corrispondono solo ad un
puntino, una minuscola isola di origine vulcanica, con un area di appena sedici
silometri quadrati, a metà strada tra San Francisco e Santiago del Cile, spersa
nell’immensità dell’Oceano Pacifico. Situata a Isolata ed ostinatamente enigmatica,
ha tuttavia accolto tre magnifici doni dai primi, rispondeva alle semplici
esigenze dei secondi, e ha confuso e fatto dannare i terzi che per secoli hanno
cercato di trovare ed impossessarsi dei tesori qui nascosti. Segnalata da Nicholas Desliens per la prima volta sulle
carte nel 1541, anche se in modo approssimato, per lungo tempo la Isla del Coco
ha rappresentato un enigma per i navigatori. Ciò era dovuto non solo a mappe
errate ed a strumenti imprecisi, ma anche al fatto che si trova sul confine tra
gli alisei di sud-est ed i doldrums equatoriali. Correnti fastidiose, venti
capricciosi ed imprevedibili e micidiali bonacce contribuivano ad ostacolare le
navi che si avvicinavano sotto vela ed è stato detto che persino un equipaggio
che era riuscito ad attraccarvi gia una volta, poteva trovarsi in difficoltà
nei tentativi successivi. Secondo i Pilots, l’Isola, che
è alta oltre L’isola fu visitata da famosi
pirati e corsari: John Cook, Edward Davis,
William Dampier, Lionel Wafer, Charles Swan, Benito Bonito e William Thompson,
solo per citare i piu famosi. Tre di questi, la leggenda (o
storia) racconta, hanno nascosto in questa isola tre tesori di valore inestimabile. Charles Davis vi nascose
i proventi del saccheggio del Porto di Guayaquil, in Equador, e della città di
Leon in Nicaragua. Benito el Bonito vi nascose
ingenti quantitativi di oro ed argento che nel 1819 aveva depredato ai danni
delle colonie spagnole. Ma il tesoro piu importante e di
inestimabile valore, denominato Il Tesoro di Lima, che comprendeva oggetti
provenienti dalla opulenta Cattedrale di Lima, fu ivi nascosto da un ammiraglio
scozzese, certo William Thomson,
a cui era stato affidato per metterlo in salvo dall’assedio da parte della
flotta di Lord Cochrane. Nel suo libro Tresures of the World, Robert Charroux lo
descive così: “Piastre,
ducati, corone, gioielli, pietre preziose, rubini, diamanti, zaffiri, perle, ametiste,
candelabri d’oro massiccio ed argento, pissidi ad altri oggetti di culto,
piatti d’oro e d’argento, nonché libri documenti ed opere
d’arte ed infine un pezzo spettacolare, Ben presto iniziarono le ricerche di
questi importanti tesori, che si sono protratte sino ai tempi nostri, ma dai
libri di storia e dai resoconti delle varie spedizioni, non risulta prova certa
che i tesori, o parte di essi, siano stati mai ritrovati. O forse sono stati in
parte ritrovati ma tenuti segreti. D’altronde le indicazioni dei luoghi
dove i tesori sono stati nascosti sono sempre state volutamente vaghe ed incomplete. Una delle prime spedizioni di
ricerca, ad opera di un certo John Keating,
aveva una mappa del tesoro malamente disegnata dallo stesso Thomson e con le
seguenti istruzioni: “Baia di
Chatam. Rivolgi le spalle al mare e poi fatti strada verso la montagna che si
trova a Nord dell’isola. Sul pendio della montagna vedrà ad ovest un
torrente. Attraversalo e fai altri venti passi verso ovest. Fai ancora venti
passi verso il centro dell’isola fino a quando il mare sarà completamente
nascosto dalla montagna. Nel punto in cui il terreno improvvisamente degrada
vedrai un segno bianco sulla roccia. Li c’è In un altro documento, attribuito
allo stesso Keating, l’ubicazione del tesoro è cosi descritta: “Sbarca alla
Baia della Speranza, fra due isolette, dove l’acqua è profonda cinque
fathoms. Fai 350 passi lungo il corso della corrente e poi gira a nord-nord-est
per circa Le spedizioni di ricerca dei tesori
di Isla del Coco si susseguirono nei tempi, senza soluzione di continuità. Le
ultime di cui si conoscono i dettagli risalgono alla fine del 1990, che, come
tutte quelle che le hanno precedute e seppur disponendo delle piu moderne
tecnologie di ricerca (magnetometri, trivelle, esplosivi, immagini satellitari,
etc.), non hanno dato alcun frutto tangibile. In realtà i cercatori di tesori
avrebbero potuto semplicemente guardare il frontespizio del romanzo di Robert Luis Stevenson, l’Isola del
Tesoro che da questa isola e da queste storie di tesori e pirati ha tratto lo
spunto, dove compare una mappa estremamente familiare, disegnata da Jim Hawins,
che corrisponde piu o meno alle indicazioni di John Keating. Per tutti coloro che hanno provato e
fallito, forse le ultime frasi del libro di Stevenson possono offrire una
risposta: “I lingotti
d’argento e le armi si trovano ancora, per quel che ne so io dove sono
stati originariamente seppelliti. E per quel che mi riguarda posono a nche
restarci. Ne buoi ne tirelle potrebbero trascinarmi di nuovo laggiù su
quekl’isola maledetta. E per me l’incubo peggiore è quando in sogno
sento il rimbombo dei frangenti sulle sue coste”. Ma noi siamo qui non per cercare i
tesori, ma semplicemente per immergerci tra gli squali martello. PS: Spunti tratti dal libro “Alla
scoperta delle Isole del Tesoro” di Cameron Platt e John Wright, Edizioni
Piemme. SY |