Feb. 20-28 - St. Croix & St. John - Diary of Riccardo - Italian

Blue Note
Marco M.
Wed 2 Mar 2016 01:36
February 20 to 28 we spend a wonderful week with Paola and Riccardo.
The first 3 days touring the island to St. Croix, then in Buck Island and the last days in St. John.
Photos to follow:

These is the diary that Riccardo kept: (In Italian)

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Caraibi - febbraio 2016

St. Croix è molto lontana da Roma.
Soprattutto se il viaggio ha inizio con un taxi alle 5:30, con l'aereo per Londra delle 8:00 e il successivo per New York alle 17:15.
In questo caso Paola, già munitasi a Roma di Sterline, alle 10:00 del venerdì 19 febbraio, è con me sulla Piccadilly line che da Heatrow ci porta in circa 50 minuti a Piccadilly Circus.
Del resto, quando è tutto molto facile, diventa naturale accedere ai servizi. Il deposito bagagli è lì al terminal degli arrivi, la Underground a pochi passi, la linea da prendere una sola, tanto che entrare da Fortnum&Mason sembra poco più che allungare dal Duty Free, per di più in una insolita giornata sfavillante di sole.
Anche la visita ad Harrod's è un naturale accessorio alla passeggiata. Il pranzo è in due riprese, tra un buon tramezzino da Pret a Manger e due prelibatezze del reparto alimentari di Harrod's.
Il ritorno a Heatrow, per me in piedi in metropolitana, è un po' stancante, ma ci aspettano 7 ore seduti e non mi preoccupo.

Il secondo volo è molto elegante: Londra-New York con la American Airlines. Puntualissimo alla partenza e in leggero anticipo all'arrivo. Posti da business class, nella prima fila economica con il pannello divisorio quasi a un metro, per allungare le gambe. 
A New York arriviamo alle 20:00 circa. È la terza volta in 12 mesi che mi trovo qui alla stazione dell'Air Train per Federal Circle. 
Una telefonata al Courtyard Marriot JFK per chiamare la navetta e alle 21:30 siamo in camera, preparandoci per la notte.

Il prossimo aereo è per St. THOMAS. Quasi 4 ore per raggiungere Charlotte Amalie e, con un taxi, la stazione del Seaplane per St. Croix, con gli ultimi 20 minuti di volo.

Appena scesi dal taxi davanti al terminal del seaplane incontriamo Marco, arrivato poco prima da Newark. Ci facciamo un primo painkilker accompagnato da un BLT, e poco dopo, alle 15:30, ci attende l'idrovolante.
L'aereo è piccolo, galleggia su due grossi pattini e, vista la giornata molto ventosa, ondeggia come una barca nella risacca. I piloti fanno più volte il conto del peso a bordo, finché chiedono che un volontario, tra i 13 passeggeri, rinunci al volo attendendo il successivo.
Il decollo è un'esperienza. Sono seduto in prima fila, praticamente tra i due piloti e assisto a tutte le operazioni, anche fisicamente impegnative, per far staccare dall'acqua il bimotore. Le manette dell'acceleratore sono in alto, la cloche è doppia, anche per il copilota, il pannello degli strumenti ricco di doppi strumenti per i due motori. La corsa sull'acqua è breve ma lo sforzo per staccare è notevole e la corsa in aria inizia e prosegue a pelo d'acqua per qualche centinaio di metri, fino all'impennata che ci porta in quota. L'atterraggio assomiglia ad una picchiata, tanto velocemente si perde quota sui tetti di Christiansted, per ammarare controvento, ma il tocco sull'acqua è inaspettatamente morbido e accogliente.

 È fatta !  Alle 16:30 circa ora locale, con cinque ore di fuso orario rispetto a Roma, e 38 ore di  viaggio da quando il taxi ci ha prelevato sotto casa, dopo tre aerei, un idrovolante, due shuttle dell'hotel americano, l'underground londinese, due taxi caraibici, ci abbracciamo con Yael che ci aspetta al marina di Christiansted dove è ancorata Blue Note.


Siamo partiti alle 5:30 di venerdì 19 febbraio da Piazza Strozzi e siamo arrivati alle 16:30 a St. Croix, US Virgin Islands, di sabato 20 febbraio.

Abbiamo ancora la forza per una passeggiata nel paese, di origine olandese e poi danese, ricco di architetture nord europee, molto insolite per queste isole. 
Mangiamo in un ristorante sul porto e alla fine, con il dinghy impegnato contro il vento a 20 nodi e schizzi d'acqua impietosi, saliamo a bordo dove sveniamo in un sonno profondo.


Domenica 21 febbraio.

Il risveglio è in un ambiente a noi già noto, a me ancora di più per la recente traversata di novembre. Paola prepara la colazione con il THE e i biscotti di Fortnum&Mason e la giornata ha inizio.
Yael e Marco hanno noleggiato una Jeep, che andiamo a prendere attraversando a piedi tutta la bella parte antica (fine '700) di Christansted e poi partiamo in direzione Ovest con destinazione Sandy Point, dopo aver lambito la vecchia, enorme raffineria ormai dismessa sulla costa sud dell'isola. 
Sandy Point, a pochi chilometri dalla raffineria, è il più importante parco naturale protetto degli USA per la salvaguardia delle tartarughe marine. Aperto solo nei fine settimana da novembre a marzo. La spiaggia è bellissima, battuta da grandi onde cristalline, con pochi turisti molto cordiali con cui ci si saluta all'incontro.
Facciamo il primo bagno della vacanza sulla punta estrema di Sandy Point, su una spiaggia costellata dai resti consumati di centinaia di conchiglie, ricci, gusci di aragoste e alghe, dove le onde non arrivano.
Centinaia di nidi di tartaruga sono segnalati da picchetti numerati, nella parte della spiaggia più lontana dalla battigia, prima dell'inizio della vegetazione.
Dopo il mare è la spiaggia risaliamo la costa in auto e ci fermiamo per percorrere un sentiero fino ad un vecchio faro in disuso, ormai corroso dalla ruggine, meta dei turisti volenterosi di camminare e di osservare il panorama della costa nord, verso est. 
Il trasferimento in jeep ci porta ad attraversare una incredibile e inaspettata foresta pluviale con grandi alberi di mogano con tronchi monumentali simili a muri.

Torniamo sulla costa e ci fermiamo per un painkilker consumato su una spiaggia domenicale molto frequentata, in un chiosco colorato di vernice e di persone, con tanto di orchestra rock e musica dal vivo.


Le ore passano immersi in una realtà che non ci appartiene, ma alla quale ogni cittadino come noi si adatta all'istante.
Poco avanti, proseguendo verso est,  c'è una pizzeria e li terminiamo la giornata consumando gigantesche pizze super condite, tranne quella che ho supplicato per me, Margherita e "pepperoni". 
Al rientro in barca non c'è più vento e non prendiamo schizzi con il dinghy, neppure al secondo viaggio fatto da me e Marco con 8 galloni d'acqua, visto che siamo con i serbatoi un po' bassi.
La notte arriva presto e ci sveniamo dentro, riprendendo i sensi al mattino, con l'unica sensazione di una pioggia notturna che in effetti ha battuto sulla coperta nel buio.


Lunedì 22 febbraio

Il the e i biscotti londinesi aprono di nuovo il mattino, accompagnati da un piatto di pere e banane tagliate da Paola. 
Alle 9:30 siamo alla jeep, oggi diretti dalla parte opposta, verso est. Dopo una sosta in un sito naturalistico con spiaggia protetta dal reef, ci spostiamo fino alla punta dell'isola, alla partenza di un sentiero che porta alle Isaac and Jack Bay, esposte a sud, protette dal reef e bellissime. In realtà ci fermiamo alla prima (Isaac) dove facciamo un lungo bagno.
Al ritorno un signore con moglie e bambina mi chiede informazioni sulla passeggiata, e dopo essermela cavata in una insidiosa conversazione in inglese, scopro poco dopo che è di Roma e che abita a Porta Pia.
Sulla spiaggia dei ragazzi ci hanno indicato un piccolo punto ristoro annesso ad un distributore, dove in effetti ci fermiamo, ritrovando anche loro.
Ancora una tappa a Salt River Bay, finché rientriamo al marina, dove facciamo rifornimento d'acqua (9 galloni), ma in barca ci fermiamo solo il tempo di prepararci per il tennis, obiettivo finale del pomeriggio.
I campi sono in cemento, velocissimi; sono gratuiti e messi a disposizione dei cittadini e dei turisti. Addirittura con luce serale, accanto a due campi da basket, uno da calcio e uno da baseball. Un vero centro sportivo gratuito a servizio della comunità.
Paola, disinteressata al tennis, si avventura da sola pensando di raggiungere il centro di Christiansted e si imbatte in una banda di neri locali che, a causa dei loro approcci, le consigliano un precipitoso dietro front, ripresa da Marco che generosamente, fiutando la situazione, era andato in sua ricerca per recuperarla con la Jeep.
Spesa al supermarket e ritorno in barca. Gin and tonic, cena con barbecue a poppa con bistecche di maiale, Sangre de Toro e buonanotte, stasera tardissimo, quasi a mezzanotte.


Martedì 23 febbraio

Oggi è il compleanno di Marco. 
I festeggiamenti iniziano con una colazione speciale a base di french toast preparati da Yael e la consegna dei regali. Marco in camicia bianca interpreta alla perfezione l'armatore-play boy.

Ci aspetta una lunga camminata nella zona nord ovest dell'isola, per raggiungere le "tide pools" naturali riparate da una scogliera battuta dalle onde.
Dal parcheggio dobbiamo percorrere un sentiero nel bosco, alquanto accidentato anche se non difficile né troppo in pendenza, per 2,7 miglia.
All'andata impieghiamo h.1,20. 
Il bosco è mutevole, anche botanicamente; si alternano zone più secche, a zone con aspetto pluviale, con miriadi di liane sottili che scendono fino a terra, quasi tende da aprire al passaggio.
Fiori gialli simili a quelli della bignonia decorano a tratti il cammino, insieme al profumo, più raro, di piccoli fiori bianchi con profumo simile al gelsomino, provenienti da cespugli di una pianta certamente imparentata con la carissa.
La spiaggia che raggiungiamo, formata da grossi ciottoli grigi è battuta dal mare, in quel momento da onde molto potenti che con il loro spettacolo inducono timore e prudenza, come confermato da un cartello che mette in guardia contro le correnti e i risucchi che si formano per il mare mosso e dalla croce in memoria di un ragazzo di 18 anni, morto il 13/12/2014, di nome Freddy Gomez.
Le tide pools sono impraticabili e dopo aver ripreso energie in una breve sosta seduti sui ciottoli ad ammirare le onde, ci muoviamo per il ritorno.
Dopo h.1,00 siamo alla macchina, più veloci che all'andata.
Sono circa le 15:00 e la fame ci spinge, preceduta da una telefonata di Yael, fino ad un chiosco ai margini della "rain forest" dove ci hanno preparato i "Johnny cakes"; una sorta di grossa frittella, non troppo dolce, che si accompagna a miele o a una incredibile mistura di miele e peperoncino piccante, sorprendente per la bontà dell'accoppiamento "glucopicrús" con reminiscenza del termine greco figurato, usato questa volta alla lettera.

A cena Marco, per l'occasione del suo compleanno, ci ha invitato in un ristorante davvero buono (Savane), dove abbiamo trovato ottimo cibo e accoglienza.

L'isola di St Croix è un posto che merita il viaggio. Il centro di Christiansted è ricco di architetture danesi settecentesche e ottocentesche, le spiagge sono fantastiche, la gente cordiale, i campi da tennis gratuiti, il turismo non di massa. 
Essere qui è un privilegio assoluto.

La sera crollo nel pozzetto. Mi trascino a letto. Non ricordo nulla della notte, tranne il risveglio con la vibrazione del telefono, ma ormai è giorno.


Mercoledì 24 febbraio

Oggi si naviga! 
Io e Marco riportiamo la Jeep al rent car e torniamo riaccompagnati al porto. 
Più tardi riforniamo i serbatoi dell'acqua al molo del Marina e salpiamo per Buck island. 
È un isolotto riparato dal reef, monumento nazionale e area protetta.
Nel breve tragitto avvistiamo tartarughe che riprendono aria in superficie. 
In prossimità dell'isola si alzano onde azzurre sul reef, che non arrivano a battere sul cuscino di sabbia che separa l'azzurro chiaro dell'acqua dal verde della vegetazione. 


Pellicani si tuffano incessantemente tra le emergenze del reef più vicine alla spiaggia.
Sono le 13:00. Siamo quasi in solitudine. Consumare il semplice pranzo in questo luogo diventa un rito di puro piacere, che precede la curiosità di appoggiare il piede sulla spiaggia.
Abbiamo il permesso di passare qui la notte. Non abbiamo fretta di agire. La vista dell'isola da Blue Note è già più di quanto potessimo aspettarci.


Sbarchiamo sulla sabbia dell'isola mentre i pochi visitatori iniziano ad andare via. 
Dopo un breve tratto sulla spiaggia ci addentriamo tra la vegetazione seguendo un sentiero che girando attorno all'unica altura dell'isola, ci porta da nord a sud, di nuovo sulla spiaggia.
La vegetazione è ricca e varia, con moltissime orchidee con boccioli non ancora in fiore, cresciute principalmente sui cactus che, numerosissimi, hanno colonizzato l'ambiente.

Al ritorno finalmente ci concediamo all'abbraccio dell'acqua, calda, azzurra, trasparente, del tutto conforme all'idea di mare dei Caraibi che la fantasia può suggerire.
Quando ritorniamo a bordo su Blue Note siamo ormai soli, noi e Buck Island, le tartarughe, i pellicani e il mare.
I ritmi del giorno e della notte si sono sganciati dall'orologio; dopo una buona carbonara opera di Marco, il sonno mi vince alle 21:30, come se fosse notte fonda. Il risveglio sarà, come al solito in questi giorni, poco dopo l'alba.


Giovedì 25 febbraio

È presto. Il sole ancora molto basso rende brillanti e visibili le teste delle tartarughe che prendono aria in superficie. Sono decine che, alternandosi, sembrano guardare noi per un attimo, prima di affondare di nuovo.
Siamo degli intrusi, in una natura prevalente e primordiale, che fa molto bene a meno dell'uomo, riproducendo se stessa con ritmi infiniti, al tempo di un orologio che al posto dei secondi ha i secoli, dei minuti i millenni e delle ore le ere geologiche.
Meccanismo troppo delicato per affidarlo alle cure umane, buone per l'oggi e imprevidente per il domani.

Paola è incantata dalla danza delle tartarughe e rimane a lungo a osservare il loro interminabile apparire calmo e improvviso. 

Scendiamo a terra per un bagno nello spettacolo della sabbia chiara e perfetta e dell'acqua troppo chiara e azzurra. 
Pesci chirurgo e pappagallo ci accompagnano nell'esplorazione del basso fondale, che tento di fotografare con la go-pro di Marco.
 Poco prima, nei pressi della barca, avevo incontrato una tartaruga appoggiata sul fondo.
Tre pellicani continuano ad alternare voli radenti a tuffi violenti dai quali riemergono subito come grossi tappi di sughero, troppo galleggianti per rimanere sott'acqua.

Ci aspetta il trasferimento a St. John; torniamo a bordo, issiamo il dinghy in coperta e partiamo per la traversata di 30 miglia verso nord, con un bel vento tra i 15 e i 18 nodi, che alza creste bianche sulle onde atlantiche.
Ricorderemo Buck Island. 



Il trasferimento inizia in allegria, incurante del vento e delle onde che lo rendono fisicamente impegnativo. Si viaggia quasi a 7 nodi.


Sento freddo allo stomaco e scendo troppo tardi in cabina dove un forte malessere combinato tra una congestione e il mal di mare mi costringe a ripetuti affacci sul wc per vomitare i residui dei french toast della colazione, anche se sono circa le 14:00 e avrei dovuto avere lo stomaco vuoto.
Continuo a stare male e vomito altre due volte nella ciotola che Marco mi ha pietosamente fornito in cabina.
Dopo ogni attacco subisco sudate abbondanti che mi confermano la congestione, che ben conosco per precedenti disavventure.
Riesco ad addormentarmi e il risveglio è in prossimità dell'ingresso alla Salt Pond Bay, di St. John.

Ci ormeggiamo ad uno dei gavitelli e ritroviamo il piacere di una barca ferma.

Marco si tuffa e incontra un grosso barracuda di circa un metro, una sua vecchia conoscenza che a quanto pare staziona da almeno due anni nella baia gironzolando tra le barche.
A cena ci ristoriamo con un piatto di spaghetti conditi con i sughi in barattolo preparati da Marco e Yael prima della stagione caraibica.
Scarichiamo le foto subacquee fatte a Buck Island, non male per essere il primo esperimento del genere.

La notte ventosa dei Caraibi ci accoglie ancora una volta nel sonno profondo.


Venerdì 26 febbraio

Risveglio a Salt Pond Bay; è la baia dove si sono sposati Marco e Yael. 
Facciamo tutto con calma, comprese le operazioni di eliminazione dalla chiglia del dinghy delle alghe cresciute in abbondanza nella lunga permanenza in acqua a Christiansted, quando Yael attendeva il ritorno di Marco, insieme a noi.

Con spugnette abrasive e varecchina, ne abbiamo ragione.
Rimesso il dinghy in acqua raggiungiamo la spiaggia per una escursione sulle alture a sud della baia, che ci portano ad affacciarci verso le vicine BVI,.
La più vicina è Norman Island, dove io e Marco abbiamo passato tre giorni dopo la traversata di novembre.
La passeggiata è lunga circa un miglio, piuttosto tortuosa, il cui punto di arrivo è spettacolare, aperto sull'oceano a sud, battuto dal forte vento diurno di questi giorni.

Tra andata e ritorno, compresa la sosta al panorama, impieghiamo circa 1:30 h. Un breve bagno rinfrescante sulla spiaggia ci rinfranca, prima di avviarci verso il ristorante dove mangeremo stasera. 
La passeggiata è più breve, circa 15 minuti, ma sempre percorrendo un sentiero nel bosco e quando raggiungiamo il punto ristoro scopriamo che non prendono prenotazioni. 
Proseguiamo verso un bar/ristorante lungo la strada, camminando, ormai in pieno calo di zuccheri, per un'altra ventina di minuti, fino a sedere finalmente all'ombra dei gazebi improvvisati del piccolo locale di campagna, dove troviamo accoglienza: coca cola ghiacciata per ripristinare gli zuccheri ormai a zero e, per me, il più buono hot dog che potessi immaginare, con guarnizione di insalata e maiale sfilacciato arrosto.

Il ritorno è in discesa, fortunatamente, fino alla spiaggia, ma lungo la strada asfaltata, ondulata lungo le pendici delle alture che circondano Salt Pond Bay.
Paola e Yael raggiungono la barca lentamente a nuoto, chiacchierando, mentre io e Marco riportiamo il dinghy.
A bordo, tra bagni e riposo, passiamo un pomeriggio rilassante, fino alla doccia finale che precede la cena, con escursione notturna nel sentiero che ci riporta al ristorante.

Non si può dire che la vita su Blue Note sia sedentaria. Abbiamo camminato per miglia e miglia in questi giorni, calcando questi luoghi che possiamo dire, grazie a Marco, di aver davvero conosciuto.

Prima di dormire facciamo una partita a YATZI, un gioco di dadi con un complesso punteggio; tanto complesso che con un colpo di fortuna finale pensavo di aver vinto, salvo poi scoprire che un bonus spettante a Yael, applicabile in varia misura, la dichiarava alla fine vincitrice al mio posto, anche se non ne sono convinto.


Sabato 27 febbraio 

Sveglia alle 7:00. Aggiorno queste note e ci prepariamo all'ultima giornata a St. John e ai Caraibi.

La colazione con frutta e french toast (non per me) è seguita da una partita a YATZI, vinta da Paola.
Un prolungato bagno con maschere sui coralli, ci porta infine su un bassofondo erboso dove due belle tartarughe mangiano noncuranti della nostra presenza.
La loro eleganza mi attrae sul fondo a toccarle, mentre Marco, munito di go-pro, filma la scena.
Paola finalmente è in compagnia dei suoi animali più amati, per di più marini.

L'acqua calda ci consente una lunga permanenza, fino alla tarda mattinata, quando Yael prepara il pranzo a base di guacamole, peperoni, yogurt e pane tostato con aglio (...non si può avere anche un sughetto con un po' di pasta...?).

Quest'ultimo giorno trascorre su ritmi lenti e riposanti, in attesa del trasferimento a Leinster Bay, pronti alla successiva breve traversata verso St. Thomas che effettueremo domani mattina.

L'arrivo a Leinster Bay, dopo aver doppiato la punta est di St. John e percorso il canale tra la stessa St. John e Tortola in direzione ovest, è spettacolare per la bellezza delle isole ed emozionante per me, indimenticabile punto di arrivo ed ormeggio dopo 10 giorni di traversata a novembre.

La baia è immobile, perfettamente sottovento, circondata da vegetazione verde brillante fino alla riva; sulle basse alture che la circondano sono visibili ruderi di vecchie postazioni di epoca coloniale, forse schiavista.

Scendiamo a terra, dopo aver salutato una barca norvegese con a bordo un'amica di Yael e percorriamo il breve sentiero fino al forte di avvistamento più alto, semidistrutto dagli anni e dagli eventi atmosferici.

La vista è bellissima: verso est si vede tutto il canale tra Tortola e St.John, a nord, dietro Tortola, si vede Jost Van Dyke e ad ovest, sotto di noi Leinster Bay e sullo sfondo St. Thomas.
In cielo imponenti nuvole colorate di rosa e di arancio dal tramonto imminente.
Poche barche in proporzione alla bellezza e un grande senso di calma e di sicurezza.

Il ritorno a bordo ci vede preparare le valigie e consumare una notevole quantità di penne Barilla con sugo al tonno, prima dell'ultima partita a Yatzi, vinta stavolta da Yael con soli tre punti di vantaggio su Paola.

La notte passa più agitata delle precedenti, per l'emozione e il dispiacere della partenza.


Domenica 28 febbraio

Sono le 7:30 quando, dopo un risveglio prematuro alle 5:30, ci alziamo dal letto.

Partiamo quasi subito, alle 8:00, verso Red Hook, dove arriviamo alle 10:15 circa, dopo una navigazione a motore in quasi totale assenza di vento. 
Temporali localizzati e violenti ci seguono seguendo percorsi tortuosi da est, spostandosi da St. John verso Tortola e poi ancora verso Jost Van Dyke.
Quando eravamo ormai pronti alla doccia, il temporale rallenta e si esaurisce, a pochi minuti dal nostro ingresso a Red Hook.

Siamo pronti per i saluti; un improvviso acquazzone ci ricorda le caratteristiche del clima caraibico.
Vorremmo fare colazione insieme ma il pessimo servizio dell'unico bar aperto accanto al terminal dei traghetti ce lo impedisce. 
Dopo le spremute, portano solo a me e a Paola le uova al bacon perché avevamo detto di avere fretta, lasciando Marco e Yael a digiuno, come se per loro fosse normale attendere da soli dopo la nostra partenza. 
La fretta è dovuta al fatto che non ho potuto fare il check-in online, viste le connessioni dei nostri voli. 
Ci salutiamo abbracciandoci alla stazione dei taxi, dove saliamo su un van strapieno di persone e bagagli diretto all'aeroporto.

Il check-in è un mezzo fallimento anche al desk della American Airlines, perché non sono in grado di fornirci la carta di imbarco per il volo Londra Roma.
I controlli passano rapidi e senza sequestri di conchiglie, ma il wi-fi dell'aeroporto non funziona e quindi rimando a quando saremo al JFK il tentativo di check-in con la British Airways per Roma. Un po' di ansia cresce, ma neanche troppa; in qualche modo ce la caveremo.
Il decollo è puntuale. I posti sono anche oggi separati in questo volo STT-JFK. 
Speriamo che siano migliori nei voli successivi.

JFK perfetto: usciamo nel terminal 8, tutto American Airlines e nello stesso terminal cambiamo solo il gate in attesa per Londra, senza nessun controllo o formalità.
Al desk dell'AA ci stampano anche la carta di imbarco del volo successivo per Roma, cosa che a St Thomas avevano dichiarato impossibile.

6 ore di volo da JFK sono decisamente più leggere rispetto alle 8 per Roma, anche se scendere, cambiare terminal dal 3 al 5 e ripetere i controlli di sicurezza, non è cosa da barattare con il volo diretto, se non per il risparmio che mi ha spinto alla scelta.

Alle 13:00 atterriamo a Fiumicino, dove troviamo una pioggia e un cielo grigio opprimenti, che non attenuano la sensazione positiva che abbiamo assorbito nei giorni passati.

Si riprendono i contatti. Siamo a Roma.





























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