Maskelyne Islands-Awai, Malakula-Port Sandwich

Refola
Alessandro Nodari
Tue 16 Jun 2015 10:28

16:26.31S 167:47.01E

Venerdì 12 giugno alle 8.30 lasciamo l'isola di Epi per dirigerci verso l'isola di Malakula, la seconda in grandezza dell'arcipelago delle Vanuatu.

Le miglia previste per la tappa sono circa 22: abbiamo poco vento, andatura al gran lasco ed onda sui 2 metri, ma data la breve distanza da coprire ce la prendiamo comoda e teniamo le vele aperte sopportando anche momenti in cui avanziamo a 3 nodi di velocità. È bello navigare senza fretta!Precisamente la nostra meta sono le Maskelyne Islands, un grappolo di isolotti che contornano l'angolo sud-orientale di Malekula: la maggior parte, in bassa marea, sono collegati fra loro e con l'isola principale; i canali di passaggio sono molto profondi  e ben visibili, ma numerosi bassi fondali disseminati un po' ovunque rendono necessario, come sempre, navigare con attenzione e in condizioni di buona visibilità.

Alle 13.50 arriviamo nella baia ad ovest dell'isolotto di Awai (nome altisonante), dove gettiamo l'ancora su un fondale di 12 metri di sabbia nera, ottima tenuta (16° 32.060 S 167° 46.198 E).

Nella zona delle Maskelyne sono segnalati tre ancoraggi principali, tutti ben ridossati: Uliveo a SE, Awai a SW, Gaspard Bay a N; anche se non abbiamo provato gli altri, a nostro parere Awai è il migliore, perché è anche riparato dal vento dominante da ESE, solo qualche sporadica raffica arriva, ridotta, nella baia.

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Più di quanto abbiamo osservato in altri luoghi, nella baia di Awai c'è un gran via vai delle tipiche imbarcazioni locali: canoe ricavate da un unico tronco d'albero scavato, con un solo bilanciere. Ragazzi che vanno in giro apparentemente senza meta, adulti ed anziani intenti alla pesca: quasi tutti, con molta discrezione,  si avvicinano alla barca per fare due chiacchiere, sapere da dove vieni, quanto ti fermi, qualcuno arriva a chiedere ami per pescare. I bambini di Awai vanno a scuola a Malakula e ogni giorno, da soli, attraversano in canoa il breve tratto di laguna; quando c'è troppo vento, ci racconta un papà, fanno festa e restano a casa! Nel pomeriggio assistiamo al loro ritorno. Una canoa si avvicina a Refola: a bordo tre ragazzini dai 6 ai 10 anni, ci chiedono penne e colori (di cui per fortuna abbiamo una piccola scorta). Notiamo che la bimba più piccola, non avendo una borsa, tiene stretto al petto un quaderno, per non bagnarlo; le regaliamo uno zainetto, che viene accolto, dopo un breve momento di incredulità, con grande gioia.

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Dopo di noi arrivano in rada altre tre barche: l'Amel 54 di una coppia di medici inglesi, che presso ogni isola offrono ai locali visite e farmaci, e poi Frida e Dream Time, già trovate ad Epi.

Con i ragazzi di Dream Time concordiamo di spostarci tre miglia a NE, davanti al villaggio di Avokh Island, per assistere ad una danza “custom”, ispirata alle antiche tradizioni melanesiane.

L'ancoraggio di Avokh è segnalato nella guida “All Ports Lead to Vanuatu” (scaricabile gratuitamente da internet www.vanuatucruising.info), con il suggerimento di calare l'ancora sulle rare chiazze di fondo sabbioso. Dopo un'ora di tentativi non abbiamo trovato neanche un centimetro quadrato di sabbia, il fondale era tutto di basse formazioni coralline; alla prova di tenuta, con 50 metri di catena su 10 metri d'acqua, la barca arava dando motore a 1200 g/min …  troppo rischioso lasciare la barca anche solo per qualche ora!

Decidiamo quindi di rientrare all'ancoraggio sicuro di Awai e tornare ad Avock con il dinghy. Approfittando dell'alta marea, accorciamo il percorso passando, su circa 50 cm di acqua, tra l'isola Lembong ed Avokh, così riusciamo ad essere quasi puntuali all'appuntamento delle 14.30. Ci attendono gli amici di Dream Time ed il capo (“Chief”) del villaggio, che ci dà il benvenuto con una breve cerimonia, al termine della quale due giovani donne ci mettono al collo una collana di foglie e fiori.

Il Chief ci fa da guida in un tour per il villaggio: una cinquantina di piccole capanne, moltissimi bambini sotto i 10 anni, alcuni piccolissimi ci seguono succhiando una foglia di palma, alcuni maialini girano indisturbati...

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Poi ci spostiamo, oltre il villaggio, in uno spiazzo aperto nella foresta, dove si tiene la danza.

Arriva prima un gruppetto di otto uomini, tutti nudi, con il pene avvolto in foglie fissate ad una  cintura di paglia: sono gli accompagnatori musicali, si posizionano di fronte alla lunga panca di bambù dedicata alla platea (siamo solo quattro spettatori) ed iniziano a “cantare” con suoni piuttosto gutturali, mentre uno di loro, più giovane, percuote un tam-tam. Ed ecco arrivare un altro gruppo di uomini, più numeroso, sempre in costume adamitico, con collane di conchiglie alle caviglie, che suonano ad ogni passo accompagnando il tam-tam.

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Lo spettacolo formato da tre diversi danze dura circa mezz'ora, poi i danzatori si ritirano nella foresta, mentre i suonatori si fermano per i saluti e scattare qualche foto di gruppo.

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Quando torniamo al villaggio il Chief ci offre prima una bevuta di Kava (che accettiamo solo Lilli ed io, mentre Neville e Catherine si dichiarano allergici), poi uno spuntino in puro stile melanesiano:  spiedini di molluschi, involtini di kassava (una specie di patata) lessa avvolta in  foglie e condita con latte di cocco, pannocchie di grano arrostite, e come bibita acqua di cocco.

Ci congediamo pagando il “conto”: 3500 vatu (circa 32 €) a testa, che consideriamo ben spesi, un po' per l'esperienza piacevole, un po' perché è un modo di aiutare questa gente.

Lunedì 15, costeggiando Malakula, ci spostiamo di circa 14 miglia più a nord, nella baia di Port Sandwich. Sulla guida leggiamo che il villaggio ha la posta, la banca e numerosi stores (negozi): noi siamo a corto di birre e dobbiamo prelevare in banca, perciò questa sosta casca a fagiolo.

Uscendo dalle Maskelyne verso NE, una corrente a favore di circa 2 nodi crea delle onde stazionarie di circa un metro alla fine del canale di uscita.

All'ingresso della profonda insenatura di Port Sandwich il sibilo del mulinello richiama la nostra attenzione. Lilli riduce il genoa e accende il motore, io corro a recuperare la lenza: un bel tonnetto di 3-4 chili è la nostra preda.

Lilli, che notoriamente detesta l'inevitabile lotta contro il pesce da portare in coperta, è costretta a darmi una mano, cosa le era sempre stata risparmiata quando a bordo c'erano amici e parenti. Tiene la canna mentre con il raffio aggancio il pesce, poi deve sorreggere il raffio mentre io fisso un cordino per appendere il tonno fuori bordo. Ovvio che nel frattempo il tonno si scuoteva fortemente, riversando sangue ovunque. Lilli era inorridita e sull'orlo del vomito, ha detto che per lei è stato il momento più brutto e difficile da quando navighiamo da soli e mi ha consigliato di assumere un aiuto-pescatore!

Alle 11.30 ancoriamo a sud-est di Planter Point, in prossimità del molo: fondale sabbioso sui 12 metri, siamo a circa 100 metri dalla spiaggia, le profondità sono elevate fin quasi a terra e la tenuta dell'ancora è ottima (16°26.319'S 167°47.016'E).

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Andiamo subito a terra col dinghy, alcune persone sulla spiaggia ci danno il benvenuto. Chiediamo del villaggio, dei negozi, della banca: ci confermano tutto. “Seguite la strada principale (ce n'è una sola! ndr) per 500 metri e siete arrivati”, dicono, e noi, visto che è appena mezzogiorno, ci mettiamo in cammino.

Per strada incontriamo altre persone, soliti simpatici e cordiali convenevoli, ma la strada incomincia ad allungarsi... Il villaggio in effetti si trova all'imboccatura dell'insenatura, circa a 5 km dal nostro ancoraggio!

Lungo il percorso alcuni raggruppamenti di capanne, alcune case in muratura ed un paio di stores, con poche cose basilari. In questa zona l'uragano del 13 marzo ha fatto meno danni che altrove: le abitazioni sono intatte e pochi gli alberi sradicati. Vediamo molti animali liberi, maiali, mucche, galline e molte palme, altissime, piene di cocchi (che nelle isole più a sud erano andati perduti). Alcuni ragazzini vanno avanti e indietro in bicicletta, cosa rara da vedere, da queste parti. Nel complesso, ci sembra che ci sia, qui, una maggiore ricchezza.   

Alle 13.20 entriamo nella Vanuatu National Bank, l'impiegata ci dice che possiamo solo cambiare banconote, ma non prelevare, non hanno sportelli automatici né lettore di carte di credito. Raccogliamo le banconote che abbiamo a disposizione: 20 US$ e 100 NZ$. “Bene - dice l'impiegata - ora dovete aspettare che la sede centrale mi comunichi il valore del cambio”; fa una telefonata e ci informa che richiameranno loro.

Ci mettiamo in paziente attesa: finalmente arriva la chiamata, la zelante impiegata compila molti moduli in triplice copia, quando ha finito ci avviciniamo allo sportello. “Non siamo ancora pronti -  ci dice - dobbiamo aspettare che arrivi un altro mio collega che controlli e controfirmi l'operazione”. Ero davvero tentato di lasciar perdere e andare via, ma dopotutto la nostra povera impiegata eseguiva solo disposizioni ricevute; così abbiamo atteso la chiusura dell'operazione: alle 14.30 usciamo dalla banca (l’edificio blu qui sotto) e ci incamminiamo sulla via del ritorno.

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Per fortuna, dopo un po', un camioncino che trasportava sacchi di copra ci dà un passaggio; rientriamo in barca alle 15.00, un po' disfatti, ma contenti!

Alessandro




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