Si riapre l'ospedale di bordo

Viaggiando verso Ovest
Giuseppe Tuttobene
Mon 3 May 2010 20:30
9:53.95S 139:06.07W
 
"Bonjour à tout le monde . Ma voi come siete stati stanotte? Io l'ho passata seduto in bagno"!
Dico uscendo dalla mia cabina e trovando tutti ormai alzati che facevano colazione.
"Io male ho avuto diarrea più volte".
Disse Fabio.
"Anch'io, un pochino". Si associò Luciano.
"Tu Giovanni?"
"Beh pure io due volte, alle 5 e alle 7".
"Cesare tu non parli?"
"una volta alle sette".
Il classico resoconto barcaiolo della prima colazione sulle intime attività intestinali che da tempo ormai non era argomento di discussione, per forza di cose lo era divenuto.
Dopo una rapida  disamina delle possibili cause, all'unanimità la colpevole era stata la signora del villaggio dietro Hananave, località che avevamo raggiunto con una motobarca, la quale ci aveva preparato, in un ambiente che appariva molto poco igienico, cinque mega panini con pollo, patatine fritte e barbecue sauce innaffiati, non da ottimo vino rosso come si suol dire, ma da una aranciata preparata in casa  e diluita con acqua di dubbia provenienza.
Comunque la giornata scorre senza ulteriori complicazioni di ordine sanitario.
La sera però ero di cattivo umore, taciturno e assonnato. Non sapevo se attribuirlo alla tristezza del 'ramadan' che avevo iniziato dal giorno precedente (il ramadan per me consiste nella totale abolizione del vino, alcoolici e fumo per qualce giorno) oppure al bruciore intorno le labbra che attribuivo al troppo sole preso e al dolore diffuso a tutti i denti e al collo.
Vado a letto prestissimo immediatamente dopo cena lasciando gli altri a tavola.
Notte lunga, agitata, piena di sogni e tormentata da un vago e fastidioso malessere generale.
L'incontro della mattina con il resto dell'equipaggio evidenzia che nessuno di noi stava bene: tutti, chi più chi meno, accusavamo una marcata stanchezza e malessere generale.
Fabio aveva un dolore alle gambe come se l'avessero bastonato ed io avevo constatato che, bevendo l'acqua del frigo, mi bruciava tutta la bocca, la gola e l'esofago. A questa mia affermazione anche qualcun altro riferiva che l'acqua sembrava effervescente.
Era evidente che si trattava di un tossico che aveva colpito gli incauti navigatori. Ma quale tossico?
Già dalla notte maturavo l'idea che potesse trattarsi di Ciguatera.
Così prendo il mio librone "Current Terapy", regalatomi dalla Malesci, e leggo il capitolo relativo.
Tutto corrispondeva!
Per chi non lo sapesse la Ciguatera è una malattia legata all'ingestione di pesce la cui carne contiene una tossina chiamata 'ciguatossina' prodotta da un flagellato che entra nella catena alimentare negli organismi che si nutrono di plancton, nei pesci più grandi che si nutrono di questi ultimi e nei cretini che mangiano pesce in mari a rischio pur conoscendo l'esistenza della patologia.
La ciguatera è diffusa nei mari tropicali entro i 60 gradi di latitudine a cavallo dell'equatore, ma l'esportazione del pesce al di fuori di queste fasce fa sì che la ciguatera possa essere presente anche in altre zone, con conseguente difficoltà nella formulazione della diagnosi.
I sintomi sono gastro - intestinali, nausea, vomito e diarrea e neurologici. Tra questi ultimi, la debolezza, le mialgie, le parestesie e le disestesie, il prurito. Nei casi più gravi, ma non sembra il nostro caso, coma, arresto respiratorio e ......
Le parestesie sono disturbi della sensibilità come per esempio il formicolio e le disestesie sono  alterazioni della sensibilità come il non sapere riconoscere il caldo dal freddo.
E' quella che sentivamo noi in bocca quando bevevamo.
E allora la povera signora dei panini era innocente!
Il colpevole era il barcaiolo!
Quando da Hananave siamo andati a visitare il villaggio di Omoa ci siamo fatti accompagnare da un barcaiolo che ci avrebbe poi riportato su Chloe. Nell'attesa, mentre noi  mangiavamo i famosi panini al riparo dalla pioggia torrenziale che nel frattempo era scoppiata, il barcaiolo aveva pensato bene di andare a farsi un giro, e, girando girando aveva pescato tre pescioni. Uno di questi, non vedevamo l'ora, lo abbiamo comprato per otto euro e mangiato per cena fatto al forno, in insalata l'indomani a pranzo e, giusto per non buttarlo, con la pasta a cena.
Quindi fatta la diagnosi, chiarita la dinamica della faccenda e appurato che non esisteva una specifica terapia, io mi sono dato per morto e sono rimasto in barca a poltrire mentre gli altri, eroici, sono scesi a terra a prendere contatto con gli abitanti di Tahata.
Nel pomeriggio, nonostante la spossatezza, con il tender ci avventuriamo al villaggio più a sud dove sapevamo di poter comprare delle sculture.
Giuseppe
 

Seguito di Ciquitera (appunti di Giovanni)

Nel pomeriggio, un po’ abbacchiati dalla consapevolezza di avere tutti in forma più o meno accentuata, contratto la malattia, ci siamo recati in tender al villaggio vicino,  famoso per la presenza di artigiani intagliatori di ossa  e di legno. Appena arrivati al molo, abbiamo incontrato alcuni pescatori a cui abbiamo raccontato di avere la Ciguatera;  ci hanno subito detto di andare da un certo Cecil Morel, o qualcosa di simile,  che abitava nella casa in fondo al villaggio, e ci hanno fatto segno di un’iniezione sul braccio. Così abbiamo pensato, con la nostra sciocca mentalità occidentale, che costui fosse un medico e che magari l’iniezione potesse essere l’endovena di mannitolo indicata, sui sacri testi medici di bordo, come unico rimedio efficace.

Così raggiungiamo la casa indicataci dove ci accoglie pigramente la moglie di Monsier Morel che, senza interrompere di suonare la sua chitarra a dodici corde,  ci dice  che il marito è impegnato in chiesa.  Tuttavia, non appena nominiamo la Ciguatera, scatta come una molla, ci dice di seguirla e ci accompagna prontamente dal marito, che, edotto dalla moglie, interrompe subito la lezione di catechismo che stava tenendo ad una fedele e passa all’azione.

Scatta così il piano cure Ciguatera dell’equipaggio di Chloe: la moglie viene mandata a cercare 5 noci di cocco ancora verdi mentre mr. Morel, seguito da noi, si reca sotto una pianta di Hotu  e ci dice di dover raccogliere 5 frutti secchi di questa pianta, che sono velenosi,  e da cui estrarrà cinque gocce di succo che miscelate al succo di cocco verde sarà la nostra medicina omeopatica Marchesana che dovremo bere. Quattro frutti vengono trovati subito, per il quinto c’è qualche difficoltà, al che Giovanni  prontamente gli dice di poter  farne  a meno perché i suoi sintomi sono quasi nulli. Si torna quindi in corteo verso la casa, lo Sciamano  con  i 4 frutti velenosi,  la moglie con 3 cocchi verdi in grembo e 5 fessi occidentali al seguito.  Attendiamo sull’uscio e da qui seguiamo la scrupolosa preparazione della pozione, lo Sciamano grattugia un frutto, raccoglie la polpa in un pezzo di stoffa e poi in ginocchio per poter vedere bene, con attenzione spreme la polpa nella stoffa per far cedere 5 gocce in un bicchiere dove ad attenderle c’è già il succo di noce di cocco verde, il bicchiere viene poi dato al malato. Il tutto si ripete per quattro volte, poi a Giovanni  viene offerto un tazzone di quello che crede e spera sia solo il succo di cocco avanzato. Ci viene raccomandato di non mangiare carne, pesce o uova per tre giorni. Grati chiediamo del compenso ma lo Sciamano ci dice di non volere niente ……….

Ora, passata una settimana ed essendo quasi GUARITI, abbiamo potuto raccontarverla.

Ci resta il dubbio di come sarebbero stati i quattro compagni d’avventura, se non avessero bevuto la pozione. I fanatici dell’omeopatia, tipo il nostro amico Chemio, saranno convinti che sarebbero stati molto peggio, gli scettici penseranno che sarebbero stati allo stesso modo, noi socraticamente sappiamo di non sapere.

Giovanni