Si riapre l'ospedale di bordo

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"Bonjour à tout le monde . Ma voi come siete stati stanotte? Io l'ho passata seduto in
bagno"!
Dico uscendo dalla mia cabina e trovando tutti ormai
alzati che facevano colazione.
"Io male ho avuto diarrea più volte".
Disse Fabio.
"Anch'io, un pochino". Si associò Luciano.
"Tu Giovanni?"
"Beh pure io due volte, alle 5 e alle 7".
"Cesare tu non parli?"
"una volta alle sette".
Il classico resoconto barcaiolo della prima
colazione sulle intime attività intestinali che da tempo ormai non era
argomento di discussione, per forza di cose lo era divenuto.
Dopo una rapida disamina delle possibili
cause, all'unanimità la colpevole era stata la signora del villaggio dietro
Hananave, località che avevamo raggiunto con una motobarca, la quale ci aveva
preparato, in un ambiente che appariva molto poco igienico, cinque mega panini
con pollo, patatine fritte e barbecue sauce innaffiati, non da ottimo vino rosso
come si suol dire, ma da una aranciata preparata in casa e diluita con
acqua di dubbia provenienza.
Comunque la giornata scorre senza ulteriori
complicazioni di ordine sanitario.
La sera però ero di cattivo umore, taciturno e
assonnato. Non sapevo se attribuirlo alla tristezza del 'ramadan' che avevo
iniziato dal giorno precedente (il ramadan per me consiste nella totale
abolizione del vino, alcoolici e fumo per qualce giorno) oppure al bruciore
intorno le labbra che attribuivo al troppo sole preso e al dolore diffuso a
tutti i denti e al collo.
Vado a letto prestissimo immediatamente dopo cena
lasciando gli altri a tavola.
Notte lunga, agitata, piena di sogni e tormentata da un
vago e fastidioso malessere generale.
L'incontro della mattina con il resto dell'equipaggio
evidenzia che nessuno di noi stava bene: tutti, chi più chi
meno, accusavamo una marcata stanchezza e malessere generale.
Fabio aveva un dolore alle gambe come se l'avessero
bastonato ed io avevo constatato che, bevendo l'acqua del frigo, mi
bruciava tutta la bocca, la gola e l'esofago. A questa mia affermazione anche
qualcun altro riferiva che l'acqua sembrava effervescente.
Era evidente che si trattava di un tossico che aveva
colpito gli incauti navigatori. Ma quale tossico?
Già dalla notte maturavo l'idea che potesse trattarsi di
Ciguatera.
Così prendo il mio librone "Current Terapy", regalatomi
dalla Malesci, e leggo il capitolo relativo.
Tutto corrispondeva!
Per chi non lo sapesse la Ciguatera è una malattia
legata all'ingestione di pesce la cui carne contiene una tossina chiamata
'ciguatossina' prodotta da un flagellato che entra nella catena alimentare negli
organismi che si nutrono di plancton, nei pesci più grandi che si nutrono di
questi ultimi e nei cretini che mangiano pesce in mari a rischio pur conoscendo
l'esistenza della patologia.
La ciguatera è diffusa nei mari tropicali entro i 60
gradi di latitudine a cavallo dell'equatore, ma l'esportazione del pesce al
di fuori di queste fasce fa sì che la ciguatera possa essere presente anche
in altre zone, con conseguente difficoltà nella formulazione della
diagnosi.
I sintomi sono gastro - intestinali, nausea, vomito e
diarrea e neurologici. Tra questi ultimi, la debolezza, le mialgie, le
parestesie e le disestesie, il prurito. Nei casi più gravi, ma non sembra il
nostro caso, coma, arresto respiratorio e ......
Le parestesie sono disturbi della sensibilità come per
esempio il formicolio e le disestesie sono alterazioni della sensibilità
come il non sapere riconoscere il caldo dal freddo.
E' quella che sentivamo noi in bocca quando
bevevamo.
E allora la povera signora dei panini era
innocente!
Il colpevole era il barcaiolo!
Quando da Hananave siamo andati a visitare il villaggio
di Omoa ci siamo fatti accompagnare da un barcaiolo che ci avrebbe poi riportato
su Chloe. Nell'attesa, mentre noi mangiavamo i famosi panini al riparo
dalla pioggia torrenziale che nel frattempo era scoppiata, il barcaiolo aveva
pensato bene di andare a farsi un giro, e, girando girando aveva pescato tre
pescioni. Uno di questi, non vedevamo l'ora, lo abbiamo comprato per otto euro e
mangiato per cena fatto al forno, in insalata l'indomani a pranzo e, giusto
per non buttarlo, con la pasta a cena.
Quindi fatta la diagnosi, chiarita la dinamica della
faccenda e appurato che non esisteva una specifica terapia, io mi sono dato per
morto e sono rimasto in barca a poltrire mentre gli altri, eroici, sono scesi a
terra a prendere contatto con gli abitanti di Tahata.
Nel pomeriggio, nonostante la spossatezza, con il tender
ci avventuriamo al villaggio più a sud dove sapevamo di poter comprare delle
sculture.
Giuseppe
Seguito di Ciquitera (appunti di Giovanni) Nel pomeriggio, un po’ abbacchiati dalla consapevolezza di avere tutti in forma più o meno accentuata, contratto la malattia, ci siamo recati in tender al villaggio vicino, famoso per la presenza di artigiani intagliatori di ossa e di legno. Appena arrivati al molo, abbiamo incontrato alcuni pescatori a cui abbiamo raccontato di avere la Ciguatera; ci hanno subito detto di andare da un certo Cecil Morel, o qualcosa di simile, che abitava nella casa in fondo al villaggio, e ci hanno fatto segno di un’iniezione sul braccio. Così abbiamo pensato, con la nostra sciocca mentalità occidentale, che costui fosse un medico e che magari l’iniezione potesse essere l’endovena di mannitolo indicata, sui sacri testi medici di bordo, come unico rimedio efficace. Così raggiungiamo la casa indicataci dove ci accoglie pigramente la moglie di Monsier Morel che, senza interrompere di suonare la sua chitarra a dodici corde, ci dice che il marito è impegnato in chiesa. Tuttavia, non appena nominiamo la Ciguatera, scatta come una molla, ci dice di seguirla e ci accompagna prontamente dal marito, che, edotto dalla moglie, interrompe subito la lezione di catechismo che stava tenendo ad una fedele e passa all’azione. Scatta così il piano cure Ciguatera dell’equipaggio di Chloe: la moglie viene mandata a cercare 5 noci di cocco ancora verdi mentre mr. Morel, seguito da noi, si reca sotto una pianta di Hotu e ci dice di dover raccogliere 5 frutti secchi di questa pianta, che sono velenosi, e da cui estrarrà cinque gocce di succo che miscelate al succo di cocco verde sarà la nostra medicina omeopatica Marchesana che dovremo bere. Quattro frutti vengono trovati subito, per il quinto c’è qualche difficoltà, al che Giovanni prontamente gli dice di poter farne a meno perché i suoi sintomi sono quasi nulli. Si torna quindi in corteo verso la casa, lo Sciamano con i 4 frutti velenosi, la moglie con 3 cocchi verdi in grembo e 5 fessi occidentali al seguito. Attendiamo sull’uscio e da qui seguiamo la scrupolosa preparazione della pozione, lo Sciamano grattugia un frutto, raccoglie la polpa in un pezzo di stoffa e poi in ginocchio per poter vedere bene, con attenzione spreme la polpa nella stoffa per far cedere 5 gocce in un bicchiere dove ad attenderle c’è già il succo di noce di cocco verde, il bicchiere viene poi dato al malato. Il tutto si ripete per quattro volte, poi a Giovanni viene offerto un tazzone di quello che crede e spera sia solo il succo di cocco avanzato. Ci viene raccomandato di non mangiare carne, pesce o uova per tre giorni. Grati chiediamo del compenso ma lo Sciamano ci dice di non volere niente ………. Ora, passata una settimana ed essendo quasi GUARITI, abbiamo potuto raccontarverla. Ci resta il dubbio di come sarebbero stati i quattro compagni d’avventura, se non avessero bevuto la pozione. I fanatici dell’omeopatia, tipo il nostro amico Chemio, saranno convinti che sarebbero stati molto peggio, gli scettici penseranno che sarebbero stati allo stesso modo, noi socraticamente sappiamo di non sapere. Giovanni |