Tuamotu
14:28:25 S 145:02:07 W Le
Tuamotu sono il piu grande arcipelago di atolli del mondo, 78 atolli, una
miriade di lagune, isolotti di sabbia ( i motu) e reefs sparsi su d un area di
oltre 20,000 km2. Solo una trentina di isole sono abitate, le altre sono
completamente deserte o abitate sporadicamente durante la stagione della pesca o
della raccolta dei cocchi e delle ostriche
perlifere. Vi
ricordate la teoria darwiniana della genesi delle isole del pacifico? (vi aiuto:
blog del 26/4/2009). Bene, le Tuamotu sono isole del terzo tipo: affondata
definitivamente la montagna vulcanica iniziale, ne sono rimasti solo i fringing
reefs e, all’interno di questi, sconfinate lagune. Anelli di sabbia che si
elevano pochi metri sul livello del mare, coperti di boschi di palme da cocco,
pandani ed alberi del pane, che racchiudono lagune azzurre ed incantate, simbolo
stesso dei Mari del Sud. Gli
atolli più orientali sono generalmente interrotti da una o piu passe, dei canali naturali che mettono
in collegamento la laguna interna con l’oceano, attraverso le quali corrono
impetuose le correnti di marea o di riflusso del moto ondoso che penetra
nell’atollo da sopravvento. Alcuni atolli sono invece completamente chiusi e si
può entrare all’interno della laguna solo con piccole canoe a bilanciere,
cavalcando i marosi che si infrangono sul reef. Le isole
Tuamotu furono abitate sin dal 1,100 d.C, toccate più volte dalle grandi
migrazioni polinesiane dal pacifico centrale verso le Gambier, le Marchesi e
Pasqua. Nel XVII secolo vi si rifugiarono molti abitanti delle Isole della
Società, che fuggivano in disaccordo con le politiche feudali dei Pomare. Nel
corso dei secoli furono poi visitate da tutti i più grandi navigatori ed
esploratori: Magellano nel 1521, Fernandes de Quiros nel 1606, Le Maire nel
1616, Roggeven nel 1721, John Byron nel 1765, Wallis nel 1767, De Bougainville
nel 1768, Cook nel 1769 ed in fine i 3 temerari navigatori oceanici del Malaika5
nel 2009. La
principale risorsa economica delle Tuamotu è oggi la coltivazione delle perle
nere, perle rotonde, opulente e barocche, in tonalità che vanno dal grigio
delicato al canna di fucile, al bronzo, al rosa, al melanzana. Ormai la
maggioranza degli abitanti delle Tuamotu ha abbandonato la raccolta della copra
(polpa di cocco essiccata) e si è dedicata alla ben piu remunerativa cultura
delle perle. Un collier di perle nere di buona qualità, dimensione e colore può
costare oggi oltre 30,000 Euro. L’isola
di Takaroa, la piu vicina delle Tuamotu per chi proviene dalle Marchesi, ci è
apparsa alle prime luci dell’alba come una linea scura, dentellata, bassa
sull’orizzonte, poco a sinistra della nostra prua. Man mano che la luce
dell’alba si è rinforzata si sono cominciate ad intravedere le cime delle palme
da cocco ed il bianco delle spiagge, al di la della barriera corallina.
L’abbiamo costeggiata per cinque o sei miglia e ci siamo portati di fronte
all’unica passe di entrata nella
laguna. A poche centinaia di metri dalla
passe abbiamo assistito, in diretta, alla ferrata e al recupero di un
bellissimo pesce vela da parte di un pescatore locale su di una piccola
canoa a bilanciere, che pescava con
la lenza a mano. Altro che canne e mulinelli
supertecnologici! Ma,
amici, entrare nella passe di Takaroa, come credo in tutte le passe degli atolli
polinesiani, non è cosa per malati di cuore. Una scusante: per noi era la prima
volta, e la prima volta non si scorda mai. Ci
presentiamo in entrata con vele rigorosamente ammainate e motore a 1,000 giri,
io al timone ed Adriano, neo vedetta lombarda, a prua. Visibilità buona verso
dritta, pessima verso sinistra poiché il sole, sorto da poco, è ancora basso
all’orizzonte, verso Est. Per i
primi 200 metri la passe e ben
delineata, con larghezza di circa 100 metri e profondità di una quindicina di
metri. Tutto tranquillo, si procede. Superiamo una specie di molo ove sono
attraccate due barche a vela, un catamarano ed uno sloop, con bandiera svedese.
Salutiamo e proseguiamo. La passe si stringe. II fondale decresce. Adriano a
prua comincia a guardare sempre più spesso verso di me, con occhi interrogativi.
La superficie dell’acqua comincia ad incresparsi e si cominciano a vedere i
primi segni della forte corrente di marea che esce dalla laguna verso il mare
aperto, in senso contrario al nostro. Do motore, 2,500 giri. La barca avanza a
fatica. Davanti a noi la passe si restringe ad una ventina di metri e fa un
gomito a 90°, ed il fondale decresce sino a -3,5 m. Questo è quanto avevamo
visto sul chart plotter, vederlo dal vivo, o meglio non vederlo, è un’altra
cosa, soprattutto perché il braccio di passe dopo il gomito a 90° è orientata
verso Est e quindi, per noi, controluce. Non si vede nulla, se non uno specchio
d’acqua increspato dalla corrente e dal vento e di color grigio/argento. Ma non
si può tentennare. Motore a palla e fiducia cieca nel chart-plotter.
L’ecoscandaglio segna: -10, -8. -6. -4, -3,5, -3,0, -3,5, -4,0, -5,5, -6. E’
passata. Adriano
comincia a rilassarsi. Io Idem. Diminuisco i giri del motore e mi porto
nell’area prescelta per l’ancoraggio. Giù l’ancora, prova in retro, tiene,
spengo il motore. Adriano viene a poppa e fa: gavè
vin? SY |