Questo e' il diario che Riccardo ha scritto
durante la sua visita con Paola su Blue Note nelle isole delle
San Blas.
SAN BLAS febbraio 2018
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16 febbraio - venerdì
Le zanzare hanno reso meno efficaci le poche ore di sonno che ci
erano concesse.
I giorni di freddo intenso non sono stati in grado di debellarle e
la sveglia delle 4:00 mi coglie appena assopito.
Il desiderio di una doccia è mortificato dalla totale assenza di
acqua dai rubinetti e il viaggio, lunghissimo, che ci attende,
inizia con disagio fisico mitigato da una colazione molto
mattiniera e dalla misera soddisfazione del lavaggio dei denti
verso le 4:45, al ritorno di un debole flusso idrico.
L'aeroporto è vivo e trafficato anche alle 5:30, tanto che il
nostro volo Lufthansa per Francoforte parte già in ritardo, mentre
il secondo volo, Francoforte-Panama City, ci è già stato
annunciato con altre 2 h di ritardo...non ci sono più neanche i
tedeschi di una volta.
Alle 12:34, siamo in aereo, quasi pronti per il decollo. Ci
attendono 12 ore di volo e sono già provato prima di partire.
Marco ci attende a San Blas, che dovremmo raggiungere domani da
Panama City, hotel Hilton, con un tour operator che ci porterà in
auto 4x4, percorrendo un tratto di Panamericana e un tratto di
strada attraverso la giungla, fino alla costa atlantica nel golfo
di San Blas.
Atterriamo in coincidenza con un tramonto spettacolare sulla baia
di Panamà City, con il sole riflesso sul Pacifico e infiniti
grattacieli in controluce.
Poco dopo le 18:00 ora di Panama City, mezzanotte per l'Italia, ti
chiamo terra.
In volo, per la prima volta, ho sofferto un po' il caldo, poi il
freddo, poi scomodità, poi mal di testa, poi un mal di gola
crescente, sintomi che spero si dissolvano scendendo a terra.
Il caldo umido che ci avvampa all'uscita dall'aereo è una buona
medicina che mi dà sollievo mentre sbrighiamo le formalità di rito
al controllo passaporti.
Un simpatico panamense inviato dell'hotel ci porta alla nostra
destinazione notturna, percorrendo una autostrada larga e senza
traffico, perfetta, che si infila parallela alla costa tra i
grattacieli.
Ci accoglie una stanza gigantesca al 23 esimo piano, con una vista
quasi aerea della baia.
Una lunga doccia ristoratrice e il sonno, non dopo uno scambio di
messaggi con il nostro riferimento per il viaggio in auto di
domani verso San Blas, concludono una giornata tra le più
movimentate della vita.
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17 febbraio - sabato
La sveglia alle 4:00 non è un problema, grazie al fuso orario e
all'adrenalina per ciò che ci attende.
La baia di Panamà City è illuminata dalle luci artificiali che si
riflettono sull'acqua del Pacifico; l'aurora è ancora lontana.
Nella hall di ingresso dell'hotel incontriamo una coppia di
giovani belgi che attendono come noi il driver che ci porterà
verso Carti.
Arriva in effetti un piccolo van, con 2 francesi già a bordo e
iniziamo quello che pensavo fosse già il viaggio verso Carti e che
invece è un tour nella città tra altri hotel e case private,
finché nel van che sembrava già un po' scomodo per 6, ci
ritroviamo in 12, con bagagli anche sul tetto, stipati e oppressi
acusticamente dalla incessante parlata spagnola altisonante e
martellante degli ultimi arrivati.
Finalmente partiti, all'uscita da Panamà City, sulla Panamericana,
l'autista fa una sosta nel parcheggio di un grande supermercato,
dove i ragazzi sudamericani fanno il pieno di birre e di cibo da
fast food che riportano a bordo e consumano in corsa.
Il paesaggio della periferia urbana è devastato dall'uomo: una
baraccopoli ininterrotta, costellata di relitti edilizi di vecchie
strutture commerciali abbandonate e nuovi mall all'americana;
misere case poco più che di fortuna e attività artigianali, mentre
al centro della carreggiata infiniti piloni di una ferrovia
sopraelevata in costruzione danno l'impressione della presa d'atto
della impossibilità del risanamento urbanistico, che ha
consigliato il definitivo abbandono del livello zero, collocando
la nuova infrastruttura in quota, quasi appoggiata su una
discarica post bellica popolata dai sopravvissuti.
Quando lasciamo la Panamericana, imbocchiamo una strada tortuosa
che si impenna e precipita sul territorio collinare dell'Istmo,
dove il van, stracarico, fa fatica in certi punti a salire anche
in prima. Grosse buche sull'asfalto costringono il driver a slalom
improvvisi, alternati ad accostate terrificanti sulla destra per
consentire il passaggio ai fuoristrada più potenti e ai mezzi in
direzione opposta.
In prossimità della frontiera interna con il territorio Guna Yala
degli indigeni Kuna cambiamo mezzo e saliamo in 6 su un
fuoristrada Toyota con autista Kuna autorizzato al trasporto dei
turisti nel territorio.
Il mezzo è molto più potente del primo ma il motore sulle salite
più dure sembra prossimo ad esplodere in un incastro di ingranaggi
poco oliati ed esausti dallo sforzo ripetuto chissà quante volte.
C'è un via vai di turisti da e per San Blas infatti, che
evidentemente vive di un turismo per appassionati di luoghi ancora
vergini e immuni dalla contaminazione della civiltà tecnologica;
anche se tutto ciò è possibile grazie ad un uso intenso di
internet e di whatsapp, indispensabile per contatti e gli accordi.
Si pagano 20 $ a persona per l'ingresso e 2 $ per l'imbarco, così
come si pagheranno 2 $ per accedere alle infinite isolette
dell'arcipelago.
Dopo oltre tre ore da quando siamo stati prelevati in albergo e
dopo essere entrati nel territorio Kuna, presidiato da severi
indigeni in divisa militare al posto di dogana, ricco di bandiere
della "rivoluzione" nelle quali campeggia nella banda orizzontale
gialla centrale una brutta, esile, minacciosa svastica nera,
arriviamo al punto di imbarco fluviale di Barsukun, a poca
distanza da Carti.
Miracolosamente i nostri nomi e la nostra destinazione, Blue Note
ancorata davanti all'isola con una sorta di posto di accoglienza
denominato Cabanas Nalunega, a Salardup, risultano su dei quaderni
scritti a mano.
Saliamo in 6 su una lancia in vetro resina devastata dall'uso, in
stile "Mad Max", condotta da due minuscoli indigeni sorridenti,
che hanno rapidamente incassato i 40 $ a testa per il passaggio e
hanno caricato a bordo i nostri bagagli.
La coppia di francesi che ha viaggiato con noi è attesa da una
barca di italiani di Roma ancorata a poca distanza da Blue Note,
mentre i due belgi, anche loro a bordo con noi sulla lancia, su
un'altra barca in zona.
Capisco subito che il trasferimento non sarà una passeggiata: il
cielo è coperto e la giornata è ventosa. L'Aliseo da nord est
soffia teso almeno sui 15 kn e immagino che appena usciti
dall'ansa del punto di imbarco, ci troveremo un mare increspato
quasi di prua. Le valige sono al coperto in due gavoni, mentre il
mio zaino e la borsa di Paola sono tra i miei piedi e li proteggo
con una busta da spazzatura provvidenzialmente a bordo (e pulita).
Usciti in mare aperto inizia il temuto rodeo, affrontato
impeccabilmente dal Kuna al motore, a velocità sostenuta per
saltare sulle increspature limitando affossamenti e schizzi.
Ci bagniamo, ma meno del previsto, nel tragitto che dura un'ora
esatta, ma la sofferenza vera è data dalla compressione e dai
colpi del sedere sulla tavola di legno che funge da sedile.
La signora francese al mio fianco, alla seconda esperienza, si è
infatti premunita di un cuscinetto ammortizzatore che l'ha
salvata, mentre Paola si è seduta su un salvagente in più che era
a bordo, oltre a quelli che tutti indossiamo.
La sagoma di Blue Note ci rassicura all'arrivo di un viaggio
lunghissimo, interessante e originalissimo, che ci ha visto
sostare in Germania a Francoforte, volare per 12 ore fino a Panamà
City, dormire al 23 esimo piano in un hotel di lusso affacciato
sul Pacifico, percorrere l'Istmo dal Pacifico all'Atlantico
attraversando la giungla centroamericana e navigare su una lancia
per 15 miglia tra gli atolli del golfo di San Blas, fino a
raggiungere i nostri cari amici ancorati davanti a una spiaggia di
cipria costellata di palme, protetti da un lungo reef dove si
infrangono onde bianche.
A bordo incontriamo oltre a Marco e Yael, anche Etienne e Lucia, i
due ragazzi che hanno compiuto la traversata con loro da Antigua.
Sono due giovanissimi, Etienne francese, 27 anni, Lucia spagnola
di Tarragona, nata in Uruguay da dove poco dopo la sua nascita la
famiglia si è trasferita in Spagna.
Dopo le conoscenze e il trasferimento a bordo scendiamo a terra,
sulla piccola isola davanti a noi, dove mangiamo a pranzo in un
ristorantino Kuna molto ma molto spartano per 10 $, con pesce riso
e insalata, noci di cocco e birra.
I Kuna proprietari dell'isola sono simpatici e cordiali. Un vento
teso viene attenuato dalla vegetazione bassa e dalle palme; la
spiaggia di sabbia chiarissima, l'acqua alla riva è cristallina e
calda; con il sole, oggi purtroppo assente, lo spettacolo sarebbe
davvero da sogno.
Ci trasferiamo sull'isoletta attigua e quando torniamo a bordo
concludiamo la giornata con la cena; insalata mista con verza,
fagioli, mele e altro e banane fritte salate fatte da Lucia. Vino
rosso spagnolo e rum di Martinica portato da Etienne.
Si parla dopo cena e Lucia ci racconta della sua incredibile
avventura nella giungla peruviana, quando nel tentativo di
camminare sui carboni ardenti si è procurata ustioni di secondo e
terzo grado alle piante dei piedi e ha dovuto camminare per
tornare a un punto civilizzato tra dolori insopportabili, seguiti
da dolorosissime cure e rischio di infezione.
Lucia ha 21 anni ma ha una personalità è un approccio alle cose di
una donna matura.
Grande giornata d'esordio! Unico assente...il sole.
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18 febbraio - domenica
Alle 4:00 svegli per il jet-leg, ma resistiamo fino alle 6:30,
dopo essere crollati presto dopo cena.
Il vento ha soffiato forte tutta la notte e tira ancora, ma nella
direzione giusta per il nostro scopo di raggiungere Narganà, dove
speriamo di poter rifornire acqua e kambusa.
Dopo la colazione a base di crêpes preparate da Etienne, anche lui
giovane ventisettenne sorprendente per la serietà e le esperienze
già vissute in giro per il mondo, partiamo in cerca di
rifornimenti.
Navighiamo a 6/7 kn con un unico bordo verso Est, protetti da un
grande reef sopra vento, tra le isole, i bassi fondali e la costa
verde di Panamà.
Narganà, dove approdiamo n esplorazione col dinghy, si annuncia da
lontano mostrando due grandi tralicci per la telefonia mobile,
sulla punta ovest dell'isola, che insieme alle parabole tele TV e
al rumore dei generatori della centrale elettrica sono poi le
uniche evidenze tecnologiche presenti nel villaggio, che è
costituito da 2 isole unite da un ponte pedonale di recente
costruzione (2008), da una serie di piccole costruzioni in
muratura, al massimo su due piani, molto fatiscenti, una piazza
con il monumento al Cristo redentore del 1954, un campo da
pallacanestro, la chiesa, il refettorio per l'infanzia, l'ufficio
dell'acquedotto, il molo di attracco per i rifornimenti, ma tutto
è consumato dal tempo, dal vento marino, dal sale, che hanno
invecchiato precocemente ogni cosa, lasciata a se stessa come una
Macondo decaduta dopo gli investimenti della compagnia bananiera.
Attorno ai pochi edifici in muratura si è sviluppato il villaggio
attuale, fatto di baracche col pavimento di terra, tetti di
lamiera e pareti di legno e canne, servite da linee elettriche
volanti e abitate da donne sedute all'aperto sulle immancabili
sedie in plastica in abiti tradizionali, bambini sorridenti,
ragazzini intenti a giocare a basket, qualcuno scalzo, qualcuno
con fiammanti scarpe Nike, gatti e cani disperatamente magri e
uomini, piccoli come ragazzi, tutti vestiti con abiti da sport
mai praticati e apparentemente sfaccendati, anche giustamente
visto che oggi è domenica.
Troviamo l'addetto al molo e all'acquedotto che ci conferma la
possibilità di rifornire acqua e ci indica un negozio dove
troveremo i generi alimentari per la kambusa.
Facciamo una spesa insperata: manghi, papaie, banane, ananas,
cetrioli, zucchine, pomodori, lime, patate, peperoni, pasta, uova,
pane...tutto portato a bordo sotto un sole spietato che morde la
pelle, finalmente uscito a colorare il paesaggio come nelle foto
pubblicitarie.
Io Marco ed Etienne portiamo a bordo la spesa scandagliando il
fondo con un prezioso ecoscandaglio portatile di cui si è dotato
Marco e ci tranquillizziamo rilevando 25-30 piedi costantemente
fino a due, trecento metri da Blue Note lasciata all'ancora.
Torniamo verso il molo e ci rendiamo conto che il basso fondo di
12 piedi era proprio nella zona più vicina a Blue Note che abbiamo
tralasciato di controllare, ma per fortuna passiamo e
attracchiamo.
Il pane fresco unito al prosciutto comprato al Duty Free di
Fiumicino in attesa del rifornimento d'acqua ci sembra un cibo
celestiale.
Ripartiamo con vela e motore e ancoriamo davanti a un'isoletta
circondata da bassifondi e reef, (Green Island) in compagnia di
poche altre barche.
Sono le 16:00 circa e il sole inizia ad abbassarsi. L'acqua è
calda, la sabbia di un esteso bassofondo attaccato alla riva
precipita inclinata verso un buon punto di ancoraggio, già
occupato però; le onde da nord si fermano sul lungo reef che
protegge questo gruppo di isole, creando un rumore di fondo di
mare mosso, a me molto familiare.
Il rifornimento d'acqua ci consente una doccia.
Lucia, bravissima, cucina per la cena una quantità notevole di
pizze, piene di condimento in stile americano e nell'attesa parlo
con Etienne bevendo gin and tonic, mentre una grande razza
leopardata gira attorno alla barca curiosando tra altri pesci
attratti dalle nostre luci nella notte senza luna.
Il vento è calato, il mare è piatto. Ci attende una notte
tranquilla.
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19 febbraio - lunedì
Siamo i primi ad alzarsi poco dopo le 6:30.
Il cielo è nuvoloso e il vento ha ripreso a soffiare più teso.
Etienne e Lucia si svegliano un po' più tardi ma si mettono subito
all'opera per imbandire la colazione con le crêpes e la
preparazione della frutta comprata ieri.
Marco invia in testa d'albero il telefono di Yael e capta un
potente segnale internet, proveniente da Narganà.
Dopo la abbondante colazione attendiamo qualche ora prima di
decidere dove andare, acquistando nel frattempo una cassetta di
birre da un Kuna avvicinatosi con la caratteristica canoa ricavata
da un tronco, stretta, lunga e pesante.
Gli chiediamo se ha aragoste e lui parte promettendole "por la
tarde".
Troppo tardi per noi che dopo il pranzo a base di panini al
prosciutto e una splendida insalata preparata da Etienne,
veleggiamo nel canale protetto dai reef fino a Combodia.
Le isole sono tutte simili, nella loro piccolezza, ma i banchi di
sabbia e corallo che le attorniano le rendono uniche per
l'avvicinamento e l'ancoraggio; inoltre sono di proprietà di
singole famiglie Kuna, che le gestiscono per una sorta di
accoglienza turistica in cambio di 2 dollari a persona per lo
sbarco.
Questa è molto bella, con una spiaggia sul versante Sud che
precipita in un fondale di molti metri, tanto da consentire
l'ancoraggio di alcune barche a vela con la cima a terra e la
poppa quasi a portata della riva.
Compriamo per 25 $ 4 aragoste 2 pesci per la cena da tre ragazzi
su una canoa che ci si avvicina poco dopo il nostro arrivo,
filmando e fotografando il momento.
Io e Paola scendiamo a terra per primi.
Nonostante il cielo nuvoloso e la protezione 100 che mi ero
spalmato sul collo, alla prima uscita di un raggio di sole sento
la pelle ardere; mi salvo con un pareo di Paola indossato come una
sciarpa e iniziamo la passeggiata attorno all'isola.
Offro i 4 dollari a un indigeno che sfoglia una rivista seduto a
un tavolo con panche di grosso legno scuro; mi ringrazia e si
presenta (Uribe) chiedendomi da dove veniamo; ho avuto
l'impressione che non avesse idea di cosa sia e dove sia
l'Italia.
Giriamo in senso orario e incontriamo donne e bambini in una
capanna sulla punta Est; doppiata l'estremità si scopre il
versante nord, battuto dal vento e abbiamo la prova di quanta
plastica venga trasportata dal mare e depositata su queste rive
insieme ai frammenti di corallo, alle conchiglie, alle spugne, ai
frammenti di posidonia.
Guardando a nord si vedono le onde che si infrangono bianche sul
reef lontano e le altre piccole isole simili a navi cariche di
palme. I bassifondi si colorano a chiazze più verdi, chiare di
sabbia, scure di posidonia e fondali e appena esce un raggio di
sole tutto esplode in una tavolozza di colori da cartolina.
La passeggiata ci porta al piccolo approdo indigeno sulla punta
Ovest, con poche capanne e tavoli per una improvvisata accoglienza
a un gruppo di turisti che banchettano con aragoste e cibi
preparati dai Kuna.
Le bottiglie di vino sul tavolo e un certo atteggiamento, ancor
prima delle voci, rivelano la loro provenienza italiana.
Intanto sono sbarcati anche gli altri e ripetiamo la passeggiata
in senso inverso, fino a tornare alla spiaggia dove ci tratteniamo
in un lungo bagno arricchito dall'idea di Yael di giocare con una
piccola palla rosa; i lanci e le voci richiamano due bambini
locali che prima timidamente ci guardano, ma presto, invitati al
gioco, si scatenano nella lotta per il possesso del palloncino e
perdono ogni riservatezza.
È un momento di magnifico oblio di ogni aderenza alla vita
cittadina; siamo nel Mar dei Caraibi a migliaia di miglia da casa,
giocando in una piscina naturale da sogno, tra persone provenienti
da molte parti del mondo, tra barche, canoe, reef e indigeni
accoglienti....è questa la realtà?! In questo momento è tutto
vero, meglio scriverlo per non dimenticare di averlo davvero
vissuto.
Marco esplora i dintorni con il drone, che viene notato da
un'altra barca, i cui occupanti si avvicinano chiedendo se abbiamo
un'elica di ricambio per il loro.
Dopo un attimo di inglese si rivelano italiani, veneti o giù di
lì, uno dei quali vive qui in barca da qualche anno.
La cena stavolta è imbandita da me e Marco, per la preparazione
del pesce, mentre Etienne cucina un buon riso al curry di
accompagnamento.
Cibo e rum finale sono il miglior sonnifero per sprofondare nella
notte.
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20 febbraio - martedì
6:30 sveglia con caffè e mini banana col comandante.
A seguire colazione con pane burro e marmellata, finendo i panini
acquistati a Nargana.
C'è un bel sole e mi sono protetto con maniche lunghe e foulard al
collo.
Paola fa l'ultimo bagno della mattina e raggiunge la spiaggia
appena in tempo per essere ripresa da Yael con il dinghy e
riportata a bordo per la partenza in stile Cicconetti verso Cayos
Holandes, a circa 7 miglia oltre la barriera corallina interna.
In circa 1:30 h siamo a Cayos Holandes, in una larga baia protetta
da un'isola a nord e da bassifondi tutt'attorno.
Molte barche ci hanno preceduto, ma questo è il luogo più esterno
dove ancorare di tutto l'arcipelago di San Blas; oltre la barriera
corallina che protegge Cayos Holandes si estende il Mar dei
Caraibi fino alle Piccole Antille, mille miglia più a Est e poi
l'Oceano Atlantico.
Paola prepara una tortilla de patatas e Etienne una insalata di
cocomero e cetrioli, aglio e cipolla con cus cus davvero buona, da
insaporire con salsa di soia.
Prima del pranzo però ci rinfreschiamo con una birra propiziatoria
e con un bel bagno collettivo sotto il sole.
Marco in più occasioni, e anche dopo pranzo, lancia il suo drone
con telecamera e compie escursioni esplorative virtuali attorno
alla barca registrando bellissime immagini.
Qualche minuto di riposo dopo pranzo e presto siamo sul dinghy,
per raggiungere la nuova spiaggia; approdiamo sul versante Sud,
ben riparato dal vento, ma ci dirigiamo poi verso la punta Est,
dove arriva il flusso di un'acqua cristallina proveniente dalle
grandi onde che si infrangono sul reef esterno a qualche centinaio
di metri da noi, che crea una forte e veloce corrente impossibile
da contrastare.
Il bagno, lungo e divertente, ci vede giocare con la corrente e
poi, con maschera e pinne, cercare i pesci corallini sulla zona
scogliosa.
Vedo pesci balestra, acanturidi e pomacantidi, oltre a bei Coris
bicolore.
Restiamo a lungo in acqua, ipnotizzati dalla bellezza dell'acqua e
del luogo.
Prima di tornare in barca andiamo ad esplorare la piccola isola
alla nostra destra, verso Est, dove notiamo la presenza di radure
e capanne.
Incontriamo una famiglia Kuna e parliamo a lungo con il patriarca
Gonzalo, con Lucia che è la nostra interprete; ci diamo
appuntamento per il pranzo di domani, a base di pesce, polpo e
aragoste per tutto il gruppo.
Unica condizione, che portiamo noi un po' di "guarnizione", come
riso, cipolla, peperoni.
Torniamo a bordo cotti dal sole e dalla giornata intera, ma
consapevoli del privilegio di essere qui.
Ci concentriamo sulla cena, dopo l'aperitivo con gin and tonic,
tonno, pomodori e pitas preparate da Yael, che sarà una pasta con
la bottarga che abbiamo portato da Roma, non perfetta ma neanche
troppo male.
Etienne nell'attesa si esercita con i nodi marinari e riesco a
dargli qualche consiglio sul nodo Savoia e la gassa.
La compagnia è armonica e le giornate passano in un crescendo di
scoperte e piacevolezze.
La precoce notte caraibica ci avvolge improvvisa come al solito.
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21 febbraio - mercoledì
Il risveglio è allietato ancora una volta dalle crêpes che prepara
Etienne in quantità notevoli e alle 8:45, dopo un primo assaggio
collettivo di crêpes au sucre, siamo di nuovo tutti nel pozzetto
attorno al tavolo per la colazione ufficiale.
Il pensiero va a casa, pensando a Ludovico, che due anni fa era da
queste parti e avrebbe voluto raggiungere Cayos Holandes, senza
poterlo fare. A lui piace conquistare l'orizzonte più lontano.
E a Vittoria, presa in tutt'altro impegno, che entro pochi giorni
potrebbe ufficializzare il suo lavoro più stabile.
Un po' di nostalgia, forse dovuta anche alla presenza di Etienne e
Lucia, appartenenti alla generazione dei nostri figli, qui con
noi, già così esperti e padroni della loro vita, da vivere alla
giornata ma con la consapevolezza che di giorno in giorno qualcosa
succederà, se non stai fermo e se sei pronto a dire sì al destino
che ti offre la tua occasione.
Le donne portano a terra il riso, l'olio, il sale e alcune verdure
di guarnizione per il pranzo, beni preziosi per chi vive su queste
isole lontane da tutto, molto più preziosi e rari di polpi, pesci
e aragoste.
Poi al ritorno e in attesa del pranzo, aiuto Marco a pulire il
tubo della presa d'acqua di mare, prima di un bagno rinfrescante
che ci predispone al trasbordo a terra poco dopo le 13:00.
Ci accolgono sorridenti le signore Kuna e il marito di una di
loro, Gonzalo, che è chiaramente il capo della micro comunità.
Un tavolo sgangherato e panche di fortuna costituiscono il nostro
desco, collocato in una radura tra le palme, su un pianoro di
sabbia corallina chiarissima, attorniato da viste incredibili da
tutti i lati, sia verso il mare, sia verso l'interno dell'isola,
dove un bosco di palme da Cocco fornisce una delle materie prime
per la sopravvivenza in questi luoghi.
Pentole annerite dal fuoco di legna vengono portate sul tavolo:
riso bianco con qualche verdura per guarnizione in una pentola, in
un'altra banane, melanzane e jucca cotte senza liquido e
leggermente abbrustolite, un tegame con polpo a rondelle cotto con
pomodori, peperoni, cipolle e infine una pentola con almeno una
dozzina di aragoste bollite.
Noi abbiamo portato vino e stoviglie, oltre alla gioia pura di
essere qui, immersi nella bellezza assoluta di una natura
ineguagliabile e irraggiungibile per quasi tutta l'umanità.
Quando esce il sole i colori esplodono in un caleidoscopio da
fantascienza; sotto le palme al bordo dell'isola, con le radici
nell'acqua, una sabbia rosa e dorata si stende liscia e vergine
sotto la pressione leggera di onde diafane provenienti dalla
laguna.
La barriera a qualche centinaio di metri blocca enormi frangenti
trasparenti che si disintegrano in schiuma bianca sino a
trasformarsi una corrente velocissima che gira attorno all'isola
lambendo le rive in due direzioni opposte.
Due bambine di circa 5 anni, spinte da una curiosità innocente,
non resistono alla tentazione di sedere con noi al tavolo,
stringendosi a Lucia, Paola e Yael, che saranno le loro baby
sitter per tutta la nostra permanenza sull'isola.
Il cibo ha in più il sapore della situazione, del luogo magico,
dei colori e della bellezza.
A fine pasto si riavvicina Gonzalo, che ha in Lucia una
interlocutrice speciale alla quale comunicare il suo pensiero
evoluto, sulla cultura Kuna, i rapporti con Panamà, con i turisti
e l'idea che il Congresso Kuna possa costituire un luogo di
elaborazione di idee e iniziative utili per la comunità.
Si meraviglia quando gli riveliamo che eravamo stati messi in
guardia dal dire che saremmo stati ospitati in barca e che altre
persone incontrate ci avevano manifestato la prossima intenzione
dei Kuna di limitare il turismo nautico nelle isole.
A quanto pare a lui non risulta è in ogni caso non sarebbe
d'accordo.
Non andremmo più via; laviamo i piatti nell'acqua limpida,
raccogliamo gli avanzi, facciamo bagni, passeggiamo lungo il
perimetro della piccola terra che ci ha accolto.
Io non posso fare a meno di ricordare quanto mio padre avesse
sognato luoghi come questi, tanto da riprodurne per anni un angolo
nel suo acquario casalingo; sono qui anche grazie al suo ricordo e
al suo ideale incoraggiamento quando ho tentennato prima di
decidere di intraprendere questo viaggio.
Quando rientriamo in barca siamo tutti più ricchi dell'esperienza
di una giornata immersa in una realtà di valore infinito per un
cittadino.
Blue Note ci accoglie verso le 17:00, giusto in tempo per una
riparazione a una delle due viti che bloccano il fuoribordo allo
specchio di poppa del dinghy, per una doccia e per farsi avvolgere
dal crepuscolo tiepido di San Blas.
La serata è depurativa e la cena è sostituita da una partita a
Yatzi, vinta naturalmente da Yael che al primo lancio di dadi fa
subito Yatzi.
Un piccolo sorso di rum dovrebbe conciliare il sonno, che invece
per Paola non arriva, come dichiarerà al risveglio.
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22 febbraio - giovedi
Ci svegliamo poco dopo le 7:00.
Lucia non sta troppo bene di stomaco e Paola ha dormito poco e
male.
Le operazioni iniziano con lentezza, con Etienne che si mette
all'opera con l'impasto delle crêpes preparato previdentemente
ieri sera.
Passa a fare due chiacchiere un simpatico spagnolo di nome Mario,
ex motociclista che veleggia da solo da un anno e mezzo da queste
parti.
Da qualche consiglio a Yael su Cartagena des Indias, poi alle
11:15 accendiamo il motore e lo salutiamo.
Siamo diretti a Lemmon Cayos, verso ovest e verso El Porvenir, che
potrebbe anche essere il punto nel quale ci faremo prelevare per
il nostro ritorno domenica mattina.
Dopo 11 miglia e circa 2:30 h di navigazione al lasco su un mare
inizialmente molto calmo, poi un po' ondulato dopo essere usciti
dalle sette miglia protette dal reef di Cayos Holandes, ci
infiliamo tra i bassifondi della baia di destinazione, molto più
frequentata di tutti gli altri luoghi fino ad oggi visitati.
A pranzo mi adopero per la comunità preparando un sugo al tonno
per la pasta comprata a Narganà che ha un buon successo.
Scendiamo a terra dopo le 16:00, quando ormai i turisti in visita
giornaliera sono andati via.
Alla nostra sinistra c'è una piccola isola attrezzata per i
visitatori con molo di attracco e un bar e poco più avanti
un'altra isoletta con un vero punto di vendita di souvenir locali
dove prevalgono le "molas" ricamate dalle donne Kuna, ma dove sono
presenti tavoli e panche per mangiare e addirittura una rete da
pallavolo.
Dopo tanta purezza ammirata nei giorni scorsi, questo avamposto
turistico, che sembrerebbe del tutto selvaggio i qualsiasi altro
posto, in realtà ci delude per la verginità perduta e per la
contaminazione con brandelli di civiltà in realtà ancora molto
lontana, ma che sta instillando i suoi germi peggiori nella
comunità locale.
Tra due capanne in riva al mare notiamo infatti due pannelli
fotovoltaici e un'antenna televisiva, mentre le donne scalze e con
la pelle essiccata dal sole caraibico vestono tradizionalmente e
sembrano personaggi usciti da una descrizione di Melville nelle
sue esplorazioni di navigazione ottocentesche polinesiane.
Ma il commercio funziona: Paola compra dalle donne indigene
colorate e incapaci di dialogare in spagnolo, una bella molas
doppia, un pareo e due polsiere di perline colorate; Lucia un
pareo, Etienne un cavigliera di perline.
Il paesaggio è anche qui incredibile. Il reef blocca le onde e
calma le acque, mentre il vento costante e unidirezionale tra i 10
e i 15 kn, soffia imperterrito e inesauribile.
Queste piccole isole di Lemmon Cayos sono molto meno estese di
quelle di Cayos Holandes, ma sono sparpagliate su un bassofondo
enorme, ricco di canali di passaggio ben visibili perché più scuri
tra macchie chiarissime di sabbia e corallo.
Al rientro spello il polpo comprato due giorni fa, che finisce
nella pentola a pressione e verrà servito con patate al vapore e
maionese, mentre Marco prepara il consueto gin and tonic di
aperitivo. Siamo ancorati completamente allo scoperto e fa quasi
fresco più per la velocità dell'aria che per la temperatura.
Il polpo a cena si rivela una vera prelibatezza, unanimemente
dichiarato superiore all'aragosta.
Si fanno programmi e si organizzano gli ultimi due giorni,
sperando di riuscire a fare un'escursione sul Rio Sidra sabato.
Domani torneremo quindi a Salardup, nostro iniziale punto di
partenza, dove alle 8:00 di domani, sabato, ci verranno a prendere
e dopodomani, domenica, io e Paola ripartiremo per il lungo
viaggio di ritorno.
La partita a Yatzi serale la vince Etienne, dopo una serie di
lanci che mi vedevano in testa per buona parte del gioco.
Marco, vinto dal sonno e dalla sconfitta a Yatzi va a dormire per
primo, mentre Yael organizza con Etienne e Lucia le decorazioni
per i festeggiamenti di domani, in onore del compleanno di Marco.
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23 febbraio - venerdì
Oggi è il compleanno di Marco, festeggiato a colazione con
omelette salata di cipolle e melanzane, con tanto di candeline e
colatura di cera, accuratamente rimossa da Marco.
Si parte un po' al rallentatore e io mi sento nel tratto finale
della vacanza, con tanto di stato ansioso collegato.
Cercherò di non pensare al ritorno e di godermi questi due ultimi
giorni.
Alla fine rinunciamo ad andare a El Porvenir, perché nella
direzione opposta a Salardup, dove in ogni caso ci dobbiamo
fermare questa notte.
Yael nello studio del libro sulle San Blas ha individuato un
bell'ancoraggio all'isola Gunboat, a 5 miglia a sud delle Lemmon
Cayos.
Quello che non avrebbe potuto immaginare, né leggere sulla guida,
è che il proprietario dell'isola è tutt'altro che gentile ed
accogliente., anzi è proprio uno stronzo.
Quando gli altri raggiungono terra a nuoto infatti, chiede a Yael
da dove viene e perché è qui e alla risposta di Yael che siamo
arrivati in barca, le chiede 20 $ per l'ancoraggio.
Intanto io ero impegnato in un giro sui coralli alla ricerca di
qualche avvistamento di fauna interessante, in effetti presente,
anche se in numero contenuto.
Mentre torno sulla riva percorrendo pochi metri, mi sento chiamare
dallo stronzo locale, di cui non sapevo ancora nulla, ma gli ampi
gesti degli altri che mi invitavano a raggiungerli, mi fanno
capire che è meglio non fermarmi a parlare.
Decidiamo di risalire a bordo e andarcene, ma prima Marco, un po'
provocatoriamente, lancia il drone e, per colmo di sfortuna,
proprio poco prima che il Kuna ostile ci raggiunga con la sua
barca e inizi a minacciare l'invio della foto di Blue Note al
Congresso Kuna, perché il lancio di droni è proibito.
Si avvicina anche all'altra unica barca arrivata poco dopo di noi,
con bandiera svizzera e chiede evidentemente anche a lui i 20 $ di
pedaggio.
Dopo pochi minuti ce ne andiamo entrambi. L'ostilità e
l'aggressività maleducata non producono nulla di buono.
Altre 5 miglia e siamo di nuovo, forse solo un po' prima del
previsto, a Salardup, punto di partenza della nostra crociera su
Blue Note. Sera a cena al ristorante sull'isola e rientro alle
20:00; preparativi per la gita di domani al Rio Sidra con Lucia e
Etienne che cucinano pasta fredda e altro per tutti.
A letto presto in attesa di domani.
Lam Tours non ha ancora risposto al whatsapp di Marco per la
conferma del nostro pick up di domenica....speriamo bene.
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24 febbraio - sabato
Una giornata memorabile.
Alle 6:00 Yael inizia le operazioni in cucina, impastando e
cuocendo un numero imprecisato di pitas.
Zaini pronti, scarpe, telefoni e gadget di Marco, salvagente per
il trasferimento in barca.
Saremo 11, accompagnati dall'equipaggio della barca maiorchina che
era con noi a Cayos Holandes e ieri sera ha ancorato qui a
Salardup accanto a noi.
Lisa, un famoso travestito Kuna detta Mola Lisa, arriva alle 8:00,
puntuale, con una barca troppo piccola per 14 persone, compresi i
due di equipaggio e per di più equipaggiata con un misero Yamaha
da 9,9 cv, ma partiamo col vento in poppa e senza spruzzi.
Dopo 35' di navigazione verso la costa, raggiungiamo una spiaggia
dove finiscono insieme l'Atlantico e il Mar dei Caraibi, nel punto
dove sfocia un minuscolo fiume; è il Rio Sidra, dove inizia la
nostra escursione.
Per superare la barra di sabbia alla foce dobbiamo scendere tutti
a terra, finché lo scafo, strisciando a fatica sulla sabbia mista
a ghiaia del fondo scivola nell'alveo trasparente che si inoltra
nella giungla.
È subito emozionante questa totale immersione in un ambiente
naturale vergine, nel quale senza le guide locali, che ci
rassicurano sulla assenza di coccodrilli in questa zona, non ci
saremmo mai addentrati.
Dopo qualche centinaio di metri lasciamo la barca e ci addentriamo
nella vegetazione seguendo uno stretto sentiero, fino a due
modesti cimiteri Kuna.
Sono piccole tombe di terra coperte da tettoie di foglie e
decorate con pochi oggetti e qualche fiore di plastica; come in
tutti i cimiteri si alternano sepolture curate e altre in
abbandono; un paio di tettoie sono realizzate con materiali
moderni, pilastrini in cemento, orditura del tetto in legno
squadrato e copertura ondulata. Pare che il nuovo modello non
abbia avuto successo tra i Kuna, perché non rispetta la
tradizione.
Proseguiamo la camminata lambendo una piccola piantagione di
ananas accanto al cimitero, per poi entrare nel tratto più
impervio del sentiero.
La vegetazione è ricchissima, varia, rigogliosa e potente,
alimentata da un ambiente umido anche in questa stagione secca,
che a quanto ci dice Lisa non ha avvertito alcun cambiamento
climatico.
Tra alti e bassi il sentiero ci porta dopo un'ora ad affacciarsi
sul fiume, in un punto dove dopo alcuni salti e piccole
cascatelle, si aprono strette polle profonde tra le rocce.
Meno insetti di quanto temuto e nessun profumo ci hanno
accompagnato sino a qui, ma siamo accaldati e quindi il tuffo
dalla roccia più alta, nella piscina scura ma trasparente sotto di
noi, ci sembra un refrigerio celestiale.
Ad uno ad uno, saltiamo nell'acqua; Paola da un punto leggermente
più basso, mano nella mano con Lisa.
Anche il gruppo catalano contribuisce al clima goliardico della
gita. Lo skipper racconta che da vent'anni passa l'estate alle
Baleari con la barca ospitando turisti e facendo corsi per patente
nautica, mentre l'inverno lo passa oltre Atlantico, perché la
navigazione nei Caraibi risulta molto più economica dello
stazionamento a Maiorca.
Inizio a pensare che sia una scelta di vita per niente assurda e
anzi più facile di una anonima e stentata sopravvivenza cittadina.
Risaliamo leggermente a monte del salto e ci godiamo
l'idromassaggio naturale nella piscina più alta dopo le rapide,
prima della sosta per il pranzo, che offriamo anche alle nostre
guide.
La vera escursione inizia da qui, con il secondo tuffo e la
discesa lungo il corso del fiume che si snoda nella giungla; siamo
nelle acque diafane del fiume di Macondo.
Altri salti, altre rapide, altri guadi con l'acqua al collo e
anche più su; per un'ora scendiamo il corso del fiume quasi fino
ai cimiteri, che raggiungiamo di nuovo seguendo parte del sentiero
dell'andata.
Risalire in barca è come ritrovare la tecnologia, anche se la
bassa marea, per fortuna di pochi centimetri, ci obbliga a
spingere lo scafo per qualche metro fino al galleggiamento.
Anche l'uscita in mare è più laboriosa dell'ingresso, perché le
acque si allargano adesso sulla battigia in uno strato sottile e
la barca non ha alcuna possibilità di guadagnare il mare, se non
grazie allo sforzo di 12 persone che a forza la spingono sul greto
ghiaioso, mentre Paola e Yael riprendono la scena.
Se fossimo venuti solo noi 6 non credo che l'impresa sarebbe
riuscita.
La prima tappa dalla foce del Rio Sidra è l'isola-villaggio di
Lisa, dove scendiamo a terra accompagnati dalle due guide, perché
lei preferisce non mostrarsi troppo in compagnia dei turisti.
Il paese è molto ordinato, pulito e dignitoso; ci mostrano grandi
capanne adibite a spazi di uso collettivo, come le sedute del
Congresso Kuna, negozi, l'immancabile campo da pallacanestro, che
sembra sovrapposto alla piazza principale del villaggio.
Passiamo davanti a capanne abitate da piccole donne in abiti
tradizionali, che cuciono molas nella penombra della porta di
ingresso o che escono al nostro passaggio mostrando polsiere e
bracciali di perline colorate in vendita.
La popolazione sembra composta in maggioranza da bambini, che
sciamano sorridenti per le strade e i vicoli, provocandoci con
tocchi e risate; tutti salutano con aria di benvenuto.
Non possiamo "tomar foto", penso giustamente, per non
spettacolarizzare una condizione primitiva che va rispettata e che
ha bisogno di una sua riservatezzaIn un emporio abbastanza fornito
di nome Frank, troviamo prodotti alimentari per la kambusa ormai
agli sgoccioli, ma non la birra Balboa, rinunciando alla Panama
Light che proprio "non ha sapore".
L'esperienza della visita al villaggio non è stata meno forte
della discesa del Rio Sidra.
I 35/40 minuti del viaggio di ritorno, dopo aver ripreso Lisa,
passano in allegria, in un misto di lingue e di voci, che si
concludono con l'arrivo su Blue Note e i saluti ai catalani,
contenti di ritornare a bordo dove avevano lasciato solo il loro
cane nuotatore, che abbiamo visto più volte nei giorni scorsi
lanciarsi dal dinghy.
Lisa, dopo una lunga sosta dagli spagnoli, torna da noi con la sua
mercanzia, fatta principalmente di "molas" e parei che vengono
acquistati da Paola e Yael.
Marco ha presto fame e prima delle 20:00 ha già scodellato tre
pacchi di pasta conditi con i suoi sughi al peperoncino, ai quali
facciamo festa con bis e tris, oltre a due bottiglie di vino,
ananas e rum finale, che mi procurano un mal di testa immediato
che durerà tutta la notte e il mattino seguente.
Le valigie sono fatte e tutto è pronto per lasciare Blue Note, con
la tristezza di chi lascia gli amici, la consapevolezza di aver
vissuto giornate straordinarie, di aver visto luoghi impossibili
da raggiungere per quasi tutta l'umanità e di aver accresciuto
l'esperienza di turismo nautico al quale abbiamo avuto accesso
grazie ai nostri amici in tutte le occasioni vissute.
Lucia ed Etienne sono stati stupendi in tutto; comunicativi,
allegri, generosi e sempre all'opera; sorprendenti cuochi per la
loro giovinezza; pieni di allegria.
Hanno subito il nostro arrivo cedendo a noi la cabina di prima
classe e adattandosi a dormire in coperta, con i sacchi a pelo,
riparati solo da un tendalino anti pioggia e anti umidità; li
penserò nel loro imminente viaggio nel Pacifico e certamente non
li dimenticheremo.
Marco e Yael ci hanno accolto ancora una volta con amicizia e
affetto, al di fuori di ogni schema borghese cittadino; con loro
l'appuntamento è a giugno, a San Vincenzo.
La notte passa in uno stato di agitazione reso invincibile dal mal
di testa causato dal vino.
Il dormiveglia si interrompe definitivamente quando apro gli occhi
sul telefono alle 5:59, pochi istanti prima del suono della
sveglia.
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25 febbraio - domenica
Una banana, il caffè, un pezzo di pane, attenuano il mal di testa.
Inutile nascondere un po' di tristezza per la partenza.
Siamo pronti, nel pozzetto, in attesa del nostro water taxi Kuna
che ci riporterà sulla terraferma a Carti.
Arriva in leggero anticipo alle 8 meno 10 una lancia già carica di
turisti di ritorno, con la sola panca di prua disponibile.
I bagagli finiscono sotto un telo impermeabile, così come i
passeggeri, anche se un lungo primo tratto si percorre a favore di
vento senza schizzi.
Dopo 20 minuti si vira a destra, verso ovest e il vento di
traverso ci obbliga a scomparire sotto i teli di plastica. In 45
minuti siamo a Carti, che rispetto a Barsukun, il piccolo approdo
fluviale dal quale siamo partiti, appare in tutto il suo
squallore.
Centinaia di fuori strada portano e raccolgono gruppi di turisti
diretti o di ritorno dalle isole; due, tre sbilenchi pontili di
sbarco, collegati direttamente alla spiaggia terrosa, scaricano e
caricano umanità.
Un invisibile organizzazione tiene miracolosamente sotto controllo
i flussi umani, in assenza di biglietti e di documenti di
riconoscimento.
All'arrivo dobbiamo dirigerci "verso il ristorante" e lì infatti
ci spostiamo, dove un volenteroso driver che scopriamo chiamarsi
Jesus, chiama Judy della Lam Tours, che mi comunica l'imminente
arrivo un "carro color vino" guidato da Angel e che dovremo
ripagare la corsa, nonostante i nostri tentativi di spiegare cosa
è successo all'arrivo a Barsukun, quando mi hanno sfilato, con
abilità partenopea, anche i 60 $ del ritorno.
Angel arriva davvero su un Toyota bordeaux e si prende a cuore la
questione del doppio pagamento, tornando due volte da Carti a
Barsukun e interrogando i Kuna addetti all'imbarcadero.
Nel primo viaggio scende dalla nostra auto per fortuna una coppia
di odiosi russi, lui con faccia da killer che ha sdegnosamente
rifiutato di far sedere Paola sul sedile anteriore e la sua
compagna con il viso largamente alterato dalla chirurgia plastica,
che tuttavia manteneva alcuni tratti vagamente mongoli
transiberiani troppo tipici per essere cancellati.
Al secondo ritorno a Barsukun sembra individuato l'autista
dell'andata ma non il "latino" suo compare che ci ha sfilato i
soldi. Però almeno la vicenda è più chiara e a quanto pare sono
tutti molto impegnati a cercare di capire l'episodio accaduto, che
getta discredito su tutta l'organizzazione e non si deve ripetere.
Finalmente partiamo e al posto dei due russi salgono 4 ragazzi
tedeschi che non aprono bocca nelle 2:30 h di viaggio fino
all'aeroporto Tocumen di Panamà City, sotto un acquazzone
tropicale del tutto insolito per la stagione secca, dove il
simpatico Angel, che ha invece dialogato a lungo con Paola, viene
ricompensato della sua gentilezza con 20 $ di rimborso.
L'aeroporto all'interno è ghiacciato; l'americanizzazione di
Panamà si dimostra con l'uso del dollaro, delle prese elettriche
USA, dell'aria condizionata mortale e infine dei severi controlli
di sicurezza che sequestrano a Paola le pericolosissime pinzette
per sopracciglia e ben due forbicine da cucito. Un paese con poca
anima e poco accogliente, considerando anche i vari divieti in
mare e l'aggressione verbale subita da Marco da parte del livoroso
Kuna di Gunboat island.
Alle 12:45 circa inizia la lunga attesa per il nostro volo delle
18:30. Il desk della Lufthansa aprirà alle 15:00 e nonostante
siamo i primi della fila, non riusciamo ad ottenere nulla di
meglio della fila 38, per lo meno però è un posto doppio vicino al
finestrino.
Dopo 10:30 circa di volo, eccoci a Francoforte. Con il
collegamento telefonico europeo, veniamo inondati da messaggi e da
immagini di Roma sotto la neve.
La previsione da sciamano di Marco si è avverata puntualmente! La
nevicata storica del 26 febbraio 2018 c'è stata davvero e notiamo
che il primo volo per Roma è stato annullato.
Anche il nostro driver romano Gianni ci ha inviato un messaggio
annullando il pick-up all'arrivo e abbiamo la prospettiva di un
viaggio ancora più lungo.
Paola fa un tentativo di reperire un parrucchiere qui
all'aeroporto, ma dopo aver girovagato senza trovarlo, capiamo che
si trova nel mall esterno, che è ben al di fuori della zona arrivi
e partenze.
Ripieghiamo su un pasto germanico, a base di patate arrosto,
verdure, würstel e schnitzel e Franziskanen Weissbier in un bistró
appena fuori della zona dei controlli.
Alle 15:00 siamo al gate 64 in attesa del l'imbarco.
Affiora una certa stanchezza.
L'ultimo volo è una breve passeggiata, che ci porta ad ammirare
dall'alto una Roma innevata, fino al mare di Fiumicino e intorno
alle piste di atterraggio.
Per nostra fortuna Ludovico è fuori ad attenderci e con le scarpe
che sabato hanno calcato il sentiero nella giungla del Rio Sidra,
adesso raggiungiamo il parcheggio esterno dove ha parcheggiato,
sentendo scrocchiare la neve ghiacciata sotto ai piedi.
Il freddo intenso non cancellerà tutto il calore e la bellezza che
abbiamo assorbito in questi giorni.
Sull'autostrada ritorniamo alla realtà del nostro villaggio
metropolitano.
Grazie Marco e Yael.
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