Riccardo's journal - Italian

Blue Note
Marco M.
Mon 14 Dec 2015 01:22
Following is Riccardo journal of our great sail from Oxford Md to St. John USVI.

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Atlantic sailing 13 novembre 2015

La decisione di assecondare la proposta di Marco è stata di impulso, fulminea per i miei tempi normali.
Ho sentito che la cosa era fattibile e realmente a portata di mano e tanto è bastato per dire sì.
I biglietti aerei su internet sono facili da trovare e l'organizzazione è stata rapida, inframmezzandola al lavoro

Giovedì 12, la partenza da Roma

Taxi e aeroporto, poca gente al T5 e controlli veloci. Sono al gate in breve tempo.
Posto vicino al finestrino, che non amo, preferendo la libertà di movimento alla vista.
Peccato un vicino di posto trasandato, goffo, inelegante, ma che tutto sommato alla fine delle nove ore di viaggio
non posso definire fastidioso; piuttosto insulso.
Lo sbarco e l'ingresso negli States, per chi è già stato negli USA recentemente e con l'ESTA ancora valido,
è altrettanto rapido e veloce della partenza. I controlli sono self service, meccanizzati. Il poliziotto all'ultima barriera
è più annoiato che interessato a chi gli sta davanti.
Sono solo al JFK, è la prima volta, mi guardo intorno e mi oriento facilmente fino al punto di raccolta dei ground
transportation, dove esibisco il mio biglietto, sempre di provenienza informatica.
L'autista dello shuttle ETS è un'indiana di Phenix, come ho capito da un breve dialogo con una passeggera;
di sicuro se ne frega della comodità dei suoi passeggeri, visto che ci stipa all'inverosimile in 11 su un pulmino da 9,
 letteralmente sommersi dai bagagli.
La fortuna di essere salito tra i primi mi ha riservato un posto decente, dietro al sedile di guida.
Dopo un interminabile doppio giro dei terminal, per raccogliere gli 11 fortunati, finalmente si imbocca
la strada per NEWARK. C'è traffico, ma ordinato e dopo circa un'ora sono al Terminal A, dove Marco
mi aspetta al Livello 2, Porta 2, come indicato tramite sms.
Un abbraccio caloroso suggella la soddisfazione reciproca per l'incontro, senza imprevisti né ritardi.
Ancora strada, con una pioggia sottile a tratti, fino al 7 di Hunting Hill Rd, Annadale, NJ, dove arriviamo
a casa di Marco, immersa nel bosco, con le finestre illuminate che lasciano vedere l'interno.
Yael ci accoglie con l'allegria di cui dispone in scorte inesauribili e la cena trascorre nel buon umore dopo
la visita della casa.
Sono stanco e non ricordo la sensazione di essere entrato nel letto e di essermi addormentato.
Deve essere stata un'azione fulminea.
Il primo contatto con la realtà è stata la solita inopportuna telefonata di mia madre, alle 3 della notte,
ovviamente incurante dei miei orari né di dove io possa trovarmi.


Venerdì 13 novembre - il trasferimento in barca e la partenza - giorno 1

La sveglia è alle 5, ma alle 4:30 Marco è già in piedi, come me, più per il fuso orario che per l'emozione.
Siamo in macchina alle 5:15 e dirigiamo verso il Maryland, nella Chesapeake Bay, dove imbarcheremo su
Blue Note ad Oxford Brewer.
Marco ha dei lavori da fare: cambiare il sensore del vento in testa d'albero e settare il sistema satellitare
di ricezione e trasmissione dati.
Ovviamente le operazioni sono più lunghe di quanto speravamo, ma dopo aver constatato che il difetto
del sistema del vento probabilmente non era in testa d'albero, bensì alla sua base, dove alcuni fili di una
giunzione erano scollegati e dopo un lungo dialogo con l'operatore del servizio satellitare, alla fine del
quale ci siamo resi conto che il problema era Google Chrome, che memorizza vecchie password in disuso,
riusciamo a muoverci alle 16:00.
Usciamo dalla elegante baia del marina, ai margini di Oxford, con un vento forte sulla prua, che sconfiggiamo
facilmente con il motore tra gli stretti ridossi della zona di partenza, ma che diventa un nemico tenace appena
fuori, dove onde corte e alte alzate dal vento a 20 kt sul basso fondale della baia ci danno filo da torcere.
Marco issa la trinchetta e la situazione migliora nettamente non appena riusciamo a prendere un po' di vento.
Abbiamo un lungo bordo quasi controvento, prima di poter virare sulla sinistra per imboccare la giusta direzione
verso SUD; quando finalmente ci riusciamo, dopo un bordo inevitabile per allargarci rispetto ai bassi fondali,
con Genoa e trinchetta la navigazione si attesta sui 6/7 nodi.
Un tramonto spettacolare fa da introduzione alla mia prima notte di navigazione.
Non fa propriamente freddo, ma il vento costante dietro la schiena e l'oscurità non rendono piacevoli,
dal punto di vista fisico, le due ore di vedetta che ci siamo dati per la nottata.
Al secondo turno raddoppio gli strati di protezione e sopporto meglio la prova.
Abbiamo segnale telefonico, visto che navighiamo tra lingue di terra urbanizzate e questo particolare ci consente
di apprendere degli eventi terroristici a Parigi, senza riuscire però ad aver alcun dettaglio.
È come se la purezza di questa notte fosse stata violata da un richiamo alle assurdità umane.
Il mio ultimo turno è dalle 4:00 alle 6:00, e mi consente di assistere all'aurora, poi all'alba, fino all'illuminarsi
del cielo, sempre sotto l'instancabile soffio di un vento immutabile, che ci ha fatto percorrere
una distanza ìmpressionante nelle circa 15 ore trascorse sino ad ora dal momento della partenza.
Saremo fuori dalla Chesapeake Bay intorno alle 10:00.
Ci accoglierà l'Atlantico.


Sabato, 14 novembre - giorno 2 – ingresso in Atlantico

Non mi era ancora capitato di osservare il tramonto e l'alba consecutivi, inframezzati da una notte
sulla stessa superficie liquida, per di più così lontano da casa.
L'alba è più luminosa del tramonto, come se annunciasse l'esplosione di luce imminente; solo una fotografia,
fissando un attimo statico, può ingannare.
Il cammino è stato spedito e la seconda giornata inizia così come era finita la prima, sulla stessa rotta
e con la stessa velocità.
La  navigazione nella Chesapeake Bay è obbligata in uno stretto canale, nonostante la sua ampiezza,
a causa dei bassi fondali e quindi la presenza al timone è impegnativa. Tuttavia il vento favorevole
ci aiuta e tutta la giornata procede senza impedimenti fino all'uscita attraverso la strettissima lingua
semi artificiale dell'antemurale che fa da supporto ad una strada dove vediamo sfrecciare veicoli che
da lontano sembrano strane barche velocissime, che si immergono nel tunnel sub acqueo
in corrispondenza dei due passaggi.
L'avvicinamento al canale di uscita avviene sotto la scorta di un gruppo di delfini, lucidi e neri,
con pinne e code possenti, che ritmicamente si arcuano sul pelo dell'acqua ai lati della barca.
Il pranzo è stato consumato presto, intorno alle 11:30, insieme alla prima birra; non avere orari,
per di più resi anomali dai turni e dal mio jet leg, ci avvantaggia nella libertà di sceglierli.
In mare aperto la navigazione rimane quasi sulla stessa rotta e con le stesse condizioni di mare.
Abbiamo anche la visita di ben due uccelli che evidentemente hanno trovato rifugio su
Blue Note alla loro stanchezza.
Prima un bel simil pettirosso, delle dimensioni di un grosso merlo, si è fermato un paio d'ore
con noi nel pozzetto, ben al riparo dal vento, finché sentite ritornate le forze, ha spiccato di nuovo
 il volo verso terra.
Dopo, un piccolo passerotto, più sfacciato, che si è introdotto nella mia cabina mentre riposavo
e ha pensato bene di posarsi sul mio naso provocandomi una sveglia improvvisa e anche
un po' scioccante, avendo per un attimo avuto la sensazione di essermi uncinato da solo il naso e,
aprendo gli occhi ancora annebbiati, trasalendo per lo spavento di avere sulla faccia qualcosa di ignoto che,
più impaurito di me, è schizzato via con un cinguettio.
Marco pensava fosse un incubo derivante dallo Stugeron che in piccole dosi prendiamo come prevenzione
del mal di mare e sulla mia allucinazione  si è riso molto finché lui stesso non ha trovato il secondo
clandestino del viaggio appollaiato in coperta.
I due o tre tentativi di ripartenza verso terra del nostro secondo visitatore si sono tutti conclusi
con il suo ritorno nel pozzetto, finché, dopo aver girovagato su tutta la barca, ne abbiamo
perso le tracce con l'arrivo dell'imbrunire quando Marco, vista la direzione del vento,
in poppa per la rotta verso St. Thomas, ha montato il tangone e con le vele  a farfalla abbiamo
finalmente preso la direzione definitiva per la nostra meta.
A cena ci scaldiamo con una zuppa solubile Knorr dopo un buon panino al prosciutto e io,
che dopo il turno della notte finito al mattino, avevo solo tentato il riposo bruscamente
interrotto dal passerotto, crollo a letto dove rimango dalle 22:00 alle 24:00.
Mi sveglio con l'accensione della motore da parte di Marco, che mi spiega che il vento è molto calato
è che quindi, anche per ricaricare le batterie, era opportuno mantenere il passo e la direzione
 con l'aiuto del motore.
Il cielo è incredibilmente stellato, invaso di punti luminosi resi brillanti dal tramonto
della piccola falce di luna crescente che ieri abbiamo visto comparire e oggi era già più consistente.
Stelle cadenti sfregiano di luce ogni tanto e per un istante il fondo nero del cielo notturno.
Osservare l'universo da qui, appoggiati su una superficie liquida infinita, mi fa sentire
schiacciato tra due immensità.
La temperatura è più mite, sui 15 gradi, e si resiste meglio nel pozzetto, dove riesco
anche ad aggiornare queste note di viaggio.


Domenica 15 novembre - giorno 3 – Gulf Stream

L'aurora mi vede anche oggi di guardia, stavolta schiarendo attraverso nuvole basse all'orizzonte.
Ancora qualche delfino ci accompagna, attaccato alla poppa, di cui mi accorgo più per il rumore
che per averlo visto nella semi oscurità.
Vado a dormire alle 6:00 e quando riemergo dalla cabina due ore dopo, Marco mi comunica
che siamo entrati nella Gulf Stream.
La corrente del Golfo è un fiume d'acqua calda largo circa 80/100 Mn, che viaggia da sud
a nord parallelo alla costa alla velocità di oltre 3 Kt. La superficie appare increspata per
il contrasto tra il vento, in questo momento da nord e la corrente.
La temperatura dell'acqua è salita a 24 gradi e quella dell'aria a 18; un bel salto rispetto
ai 7 gradi dell'acqua del Chesapeake in partenza, e ai 12 circa all'uscita dalla baia.
Anche l'aria si è addolcita.
Mi accorgo di non stare bene stamattina. Dopo la colazione con latte e cereali, consumata
in dinette proprio nel massimo del rollio, mi sale un malessere che dura tutta la mattina e che,
pur non essendo conclamato mal di mare, ci si avvicina molto.
Alterno veglia a sonno quasi da narcotico e non riesco a scaldarmi, se non verso le 13:00,
quando un bel sole caldo arroventa i miei vestiti neri.
Dalle 11:00 circa il vento è calato e accendiamo il motore; si procede a 5 kt circa.
Mi distraggo guardando lontano l'orizzonte, fino al quale giungono nuvole sparse, 
quasi una formazione di innumerevoli dirigibili in ordine regolare.
Ogni tanto qualche medusa caravella galleggia sulla corrente con il seguito di tentacoli a pelo d'acqua.
Alghe galleggianti giallo-arancione ci segnalano che il mar dei sargassi non è troppo lontano.
Non mangio. Mi salvo dal malessere con i taralli pugliesi consigliati da Bianca.
Marco per fortuna non ha problemi, manovra con calma da capitano esperto,
mangia e si concede una doccia ristoratrice.
Al mattino ci contatta via radio un catamarano che ci segue a una decina di miglia;
anche loro a motore ma più veloci di noi, si dirigono alle V.I..

Alle 14:00 Marco posiziona la canna a poppa.
Alle 15:00 circa, mentre aprivamo il genoa, abbocca un Mahi-Mahi, che ci costringe
ad abbandonare la manovra.
È un pesce giallo lucente, come le nostre lampughe, ma molto più colorato.
Combatte un po' senza speranza finché non viene gaffato e issato a bordo.
Le operazioni di pulizia sono laboriose e Marco vi impiega quasi mezz'ora.
Inutile pescare ancora. Abbiamo pesce a sufficienza, per un po'.
Sto meglio. L'Oceano si è spianato per l'assenza di vento. Procediamo a motore in perfetta solitudine,
dopo essere stati superati dal catamarano che abbiamo visto scorrere alla nostra sinistra in lontananza.
Mangiamo in dinette; finiamo i fagiolini e roast beef che aveva preparato Yael al mio arrivo.
Si parla.
La notte cala presto ma i turni del nostro riposo iniziano dalle 10:00 in poi, quando iniziamo
con una certa attenzione ad allenarci alla veglia per concedere all'altro due ore di sonno spensierato.
Sembra incredibile ma le giornate si stanno rivelando diverse l'una dall'altra, piene di episodi
e di cambiamenti, che qui, in questo tempo dilatato e in uno spazio ristretto, assumono
un valore che mai verrebbe notato nella vita cittadina, dove eventi caotici si susseguono
giornalmente distogliendoci dal pensiero e dalla riflessione.
La notte passa tranquilla, con 20 gradi di temperatura e senza vento, con l'acqua appena ondulata,
devo concentrarmi a collocarmi sul mappamondo, a più di 100 miglia  nautiche dall'ultimo lembo
di terra che abbiamo lasciato alle nostre spalle, Cape Hatteras.
La scia dell'elica lascia dietro di noi una striscia luminescente nella notte acquatica; è il plancton
che scosso dalle acque mosse dalla chiglia dell'elica emette fremiti di luce propria.


Lunedì 16 novembre - giorno 4 – la pesca

Per il terzo giorno consecutivo assisto all'albeggiare.
Oggi le nuvole prevalgono sulla luce e lo spettacolo è meno eclatante.
Alle 6:15 e fino alle 8:00 circa dormo in cabina, ormai con un clima ottimo, visti i 22 gradi
che abbiamo in barca.
Devo capire qual è il regime alimentare ideale per me, visto che il malessere di ieri deve essere
partito dalla difficoltà di digestione.
Mangio quindi una mela e una banana e sgranocchio un paio di taralli. Mi sento nutrito e leggero.
Speriamo bene.
Alle 9:00 rabbocchiamo il serbatoio del gasolio con 2 delle 4 taniche da 5 galloni che Marco ha portato.
Mi rendo conto che nulla è lasciato alla improvvisazione; Marco sa davvero quello che fa!
Proseguiamo la navigazione a motore. Secondo le previsioni avremo vento buono verso sera.
Una doccia in mezzo all'Atlantico a mezza mattina di lunedì 16 novembre, rende meno doloroso
 il prelievo delle tasse dal mio conto corrente, prenotate in anticipo per oggi.
Paola e Yael in questo momento sono a Gerusalemme, io e Marco qui. Una assurda congiunzione
di fatti ha reso possibile questa improbabile circostanza.
È bello aver saputo cogliere l'occasione che il caso ci ha fornito.
A pranzo Marco cucina i filetti del Mahi-Mahi preso ieri, accompagnati da riso in bianco e un pinot grigio italiano.
Ci sentiamo dei re, con mare piatto, sole caldo, temperatura in aumento e relax assoluto.
Tanto relax e caldo che Marco mi propone di fermarci per fare un bagno, cosa che rifiuto per pura codardia,
lo ammetto senza pudori.
Non ce la potrei fare a sentirmi 5000 metri d'acqua sotto ai piedi.
Il caffè è servito a prua, dove non arriva neppure il rumore del motore, mente poco innanzi
alla barca si vedono pesci in superficie.
Mi scatta l'istinto, sopito, del pescatore e calo in acqua la traina. Dopo neanche mezz'ora parte
 la frizione e siamo costretti a interrompere la pausa caffè per correre a poppa.
La lenza è tesa, il pesce tira forte, è combattivo, fa due salti mostrandosi giallo d'orato e
nella sua interezza. Il secondo salto gli salta la vita, che comunque gli avrei reso liberandolo,
avendo ancora metà del suo gemello di ieri in frigorifero.
La sera giunge rapida e l'accogliamo con un brindisi di vino rosso di Spagna, accompagnato
dai taralli di Puglia. Ciò ci è sufficiente e non ceniamo, senza sacrificio.
Il tramonto è spettacolare.
Inizia la notte.


Martedì 17 novembre - giorno 5

Assisto alla quarta aurora anche quest'oggi, salutata all'albeggiare da due delfini sotto la prua,
di cui mi accorgo per caso, scorgendo un dorso arcuato con la pinna dritta, che si era leggermente
scostato sulla sinistra.
Colazione con mela, pane tostato, Nutella e caffè.
Fa caldo ormai: in barca 24 gradi e fuori 22 stabili. Temperatura dell'acqua 22,7.
Alle 8:00 rabbocchiamo il serbatoio con le due taniche da 5 galloni rimaste e, alle 8:45 circa,
spegniamo finalmente il motore, visto l'arrivo di vento ancora debole ma un po' più stabile.
Tuttavia l'andatura è lenta, con improvvisi cali di vento e brevi rinforzi fino a 10-12 Kt,  che però
non riescono a soffiare costanti.
Abbiamo percorso comunque un lungo tratto, di circa 100 miglia da Oxford nella Chesapeake Bay
e di altre 400 dall'uscita in mare aperto. 500 Mn in tutto, in tre giorni e mezzo di navigazione.
Oggi alle 16 finirà il 4* giorno pieno e inizierà il 5*. Lo scrivo per non perdere il conto e per avere
un'idea della media giornaliera delle miglia percorse, che fino ad ora è di circa 125-130/giorno.
Ne restano davanti a noi 900.


Molte ore dopo...venerdì 20 novembre - giorno 8 – il mal di mare

Ho fatto bene a scrivere quell'appunto sul nostro viaggio. Poco dopo il vento si è alzato molto
al di là delle previsioni, collocandosi tra i 20 e i 25 nodi, con punte di 27/30, provenienti
da sud est anziché da nord est.
L'andatura di bolina è dura sulla chiglia e assai scomoda; diciamo che l'esperienza di navigare
circa 60 ore in queste condizioni non è propriamente indispensabile, visto almeno l'effetto che ha avuto su di me.
Mal di mare immediato, vomito a più riprese, anche quando non avevo più nulla nello
stomaco se non i miei stessi succhi gastrici ormai striati di sangue, incapacità di svolgere
ogni benché minimo movimento senza peggiorare la situazione.
Ho passato la notte tra martedì e mercoledì nel pozzetto, sperando nell'effetto dell'aria fresca,
ma era più il disagio del freddo che il beneficio del rinfresco; ho visto arrivare l'alba di mercoledì
senza che il vento si indebolisse anche di un nulla. La barca teneva miracolosamente la sua rotta
e la sua andatura saltando e scivolando su dislivelli d’acqua che, tra un'onda e l'altra, non potevano
misurare meno di 7-8 metri tra cresta e cavo per nostra fortuna senza frangere.
Ai rumori delle vele e dello scafo, delle cime, dei bozzelli, faceva da sottofondo un ruggito
profondo proveniente dall'acqua, tutto il giorno.
Nel pomeriggio le raffiche si sono intensificate, come il mio mal di mare, finché un'onda
più decisa mi ha ricacciato, all'imbrunire, ma tutto bagnato, in cabina.
Lì ho trovato, insperatamente, una posizione fetale che ho tenuto per tutta la notte,
che mi ha consentito un minimo di riposo dopo tanta veglia.
Il sonno è stato accompagnato da incubi, moli da raggiungere, case invase dall'acqua,
porti orientali con barche che rischiavamo di incontrare sul nostro cammino cieco.
I turni sono stati abbandonati e così, chiusi dentro e con il pilota automatico, siamo
andati avanti nel mio deliquio, grazie alla incredibile calma e forza di Marco che non ha
mollato un attimo dal tenere il controllo della situazione, della rotta, salvo un solo momento
di debolezza sfociato in un vomito improvviso che sembra non aver su di lui lasciato effetti di sorta.
L'ho soprannominato "Terminator".
Ho saputo solo a cose fatte che Marco ha dovuto, da solo, ridurre la randa alla terza mano di terzaroli,
dopo che uno strappo causato dal vento e da una tensione accidentale, ne aveva lacerato
un ampia parte nella zona inferiore.
Il giovedì è trascorso per me nella convalescenza senza uscire dalla cabina, sino a questa mattina,
quando la navigazione è tornata come per incanto comoda e dolce.
Ci siamo fatti una doccia ritemprante e la giornata sta scivolando via serena.
Ho anche di nuovo mangiato, dopo che il mio unico cibo era stata una banana nella giornata
di giovedì e mezza bottiglia di the, consumate nell'arco di tutta la giornata.
Oggi penne al sugo e coca cola per me, vino per Marco.
Ora sono le 15:30 e non mi sembra vero di star tanto bene da poter aggiornare queste note di viaggio.
Abbiamo davanti ancora circa 450 Mn fino a St Thomas e alle 16:00 di oggi sarà esattamente
da una settimana che abbiamo mollato gli ormeggi da Oxford Maryland.
Fortunatamente mi sono reso utile nei primi 4 giorni di traversata, perché  in questi ultimi tre
sono stato solo una zavorra per il mio Capitano.
La notte arriva presto qui in zona tropicale. Alle 17:30 il sole ci lascia al buon umore e alle chiacchiere serali.
Non abbiamo fame e alle 20 entro in cabina per una notte finalmente di vero riposo.


Sabato 21 novembre - giorno 9 – gabbiani, pesci e acquazzoni

Alle 5:00 siamo già svegli. Abbiamo preso i ritmi del sole e l'alternanza di luce e di buio scandisce il nostro tempo.
Tutta la notte abbiamo viaggiato filanti in parallelo  tra i cavi delle onde, con vento a 15 kn e 7 circa di velocità.
Al risveglio ci troviamo a 362 Mn dall'arrivo.
Un gabbiano solitario, piccolo ma adulto, ci gira intorno, troppo lontano dai suoi scogli, che chissà quali sono,
forse giunto sin qui seguendo una barca in direzione opposta, così come ora segue noi.
Non si fida di avvicinarsi troppo al nostro generatore eolico sul quale plana a pochi metri e a lungo,
 in cerca di un appoggio che non trova.
Dopo lunghe volute si ferma infine più volte in acqua, per qualche istante di riposo, scomparendo
tra le onde alte e allontanandosi rapidamente, per poi risollevarsi a pelo d'acqua e raggiungerci di nuovo.
La sua fatica è premiata da Marco, che gli lancia cackers sui quali prima timidamente, poi deciso a tuffo,
si lancia subito appena toccano l'acqua.
Un paio di pesci volanti sembrano un miraggio di altri uccelli marini, che scompaiono rituffandosi
dopo lunghe planate sotto la superficie.
I sargassi sono in gran numero a segnare di giallo arancione il blu cristallino.
Tutto è immutabile e al tempo stesso infinitamente cangiante.
L'altezza delle onde, le creste bianche ventate, il cielo, la temperatura, la forma delle infinite nuvole.
Credo possa definirsi la condizione più simile a quella del viaggio di due astronauti su una navicella spaziale.
Siamo compressi tra i due dischi dell'acqua e del cielo, azzurro su azzurro, trasportati
da forze naturali abilmente sfruttate, senza speranza di poter combattere un solo secondo
con le energie che potrebbero scatenarsi da queste immensità; che nessuno sforzo o
strumento umano potrebbe modificare in nessun modo.
Il pensiero va a chi sta vivendo la sua vita normale mentre io sono sospeso in questa condizione anomala,
ma di certo naturale, più naturale, o meglio ancestrale, rispetto al vivere cittadino; è dolce pensare
alla famiglia, agli amici, alle cose di cui siamo circondati, agli oggetti a cui diamo valore e
che ne hanno indubbiamente, perché la fuga avrà fine tra poco, con il piacere di tornare
a quella normalità, sapendo però adesso meglio cos'è un'ora che passa, quanto può essere dilatata una giornata,
quanto il cervello umano possa elaborare immagini e pensieri autonomamente,
mentre il corpo giace nello spazio ristretto della navicella.
Penso che possa trovarsi in questi momenti la chiave per l'interpretazione del prima e
del dopo aver fatto una simile esperienza.
La vera difficoltà, o bravura, consisterà nel non dimenticare.
Alle 8:30 ora locale ho inviato un messaggio di auguri a Lidia e solo adesso realizzo
che sono in ritardo di un giorno.
La giornata prosegue con vento buono e buona velocità.
Mettiamo la lenza in acqua e quasi subito abbocca un Mahi-Mahi che però si libera a
 pochi metri dalla barca; proseguiamo con merenda a base di formaggio, cracker e birra Corona
e quasi all'ultimo sorso un altro forte strappo indica l'aggressione del pesce.
Questa volta la lotta è dura ma vinciamo noi; porto il Mahi-Mahi sotto bordo dove Marco
lo gaffa e lo issa in coperta. È lungo più di un metro e peserà circa 5 kg.; la prova di forza
contro il mio mal di mare si conclude con la spellatura e la sezionatura in filetti del grosso pesce,
con grande scarto e risate di Marco, dovute alla mia imperizia come tagliatore di sushi.
Ma il battesimo oceanico ora è completo.
La giornata si conclude rapidamente scivolando nel tramonto e nel buio precoci di queste latitudini.
Alle 17:30 sembra notte, rischiarata dal potente faro lunare, in rapida crescita.
Siamo circondati da scrosci d'acqua localizzati, dovuti alla forte evaporazione diurna del mare,
a oltre 27 gradi, che dopo il tramonto favorisce la formazione di addensamenti nuvolosi
molto bassi che scaricano improvvisi quanto brevi rovesci.
In quei momenti venti cambiano improvvisamente e possono indebolirsi quasi ad azzerarsi
o rinforzarsi violentemente.
Riduciamo le vele e scampiamo il grosso delle piogge. Entrati nella notte la situazione si stabilizza
e procediamo veloci sulla nostra rotta, percorsa alla cieca dormendo, salvo saltuari rigurgiti
di prudenza esauriti in sbrigativi controlli, fidando nella solitudine atlantica.


Domenica 22 novembre - giorno 10 – la bolina infinita

Notte di bolina ma in posizione equilibrata in cuccetta. Alle prime luci del giorno siamo fuori.
La giornata si presenta così come si era esaurita, con un vento da sud est che ci impegna
in una bolina estenuante.
Onde blu rigate di sargassi si alzano imponenti prima e dopo di noi, che scivoliamo indenni
ma con continue impuntate della prua nelle creste controvento che la battono.
Colazione a base di pane tostato, burro e marmellata di arance, caffè, consumata con difficoltà
 in posizione inclinata.
Si parla di classici omerici, influenzati dalla avventura della traversata.
Ma più tardi, per cercare sollievo in posizioni più comode, ci alterniamo in sonni agitati fino
a mezza mattina.
Anche il pomeriggio, dopo un pranzo asciutto di pane e formaggio, con mandarino finale a
rinfrescare le bocche salate, passa tra chiacchiere e sonni.
Per la prima volta, essendo ormai a circa 24 ore dall'arrivo, parliamo della terra e della sua vicinanza,
continuamente in bilico tra lo scarroccio che ci spinge verso Portorico e un leggero guadagno di vento
che ci indirizza verso est, sulle BVI.
Ma il vento che avremmo voluto sarebbe dovuto provenire da Est-nord-est.
È di nuovo buio. Sono le 18.
Siamo ormai depurati da ogni residuo cittadino, depurati da esigenze e da abitudini, liberati dall'uso
di collegamenti digitali e materiali. Siamo allo stato naturale. Uomo ed elementi, con un po' di elettronica
di navigazione a farci sentire sufficiente ebeti rispetto ai navigatori veri, di soli pochi anni fa,
per non parlare dei pionieri che per primi hanno solcato queste acque, in panorami identici a questi,
senza neppure sapere se il loro viaggio avrebbe avuto un approdo.
Noi pensiamo all'aperitivo che forse gusteremo domani sera all'incirca a quest'ora.
La nostra purezza non è ancora completa.

La notte passa più agitata del solito da sogni dell'assurdo, inframezzata da veglie per evitare
 i piovaschi e correggere la rotta verso USVI, per evitare Portorico.


Lunedì 23 novembre - giorno 11 – terra !

Abbiamo deviato, pur non volendo, verso ovest e quindi al risveglio viriamo per un bordo verso est,
che, pur breve, ci rimette parzialmente in direzione.
Il vento è in calando e accendiamo presto il motore, come previsto da Marco, che aveva ben interpretato le previsioni.
Non ho più alcun desiderio di mangiare. Penso di aver perso qualche chilo;
ho lo stomaco chiuso al cibo disponibile. Sogno pomodori freschi, uva, mele, acqua gassata San Pellegrino.
La deviazione di rotta ci vede rassegnati a procrastinare l'arrivo di almeno 12 ore, ma è un nulla,
meno di un decimo del tempo già trascorso a bordo.
Provo a immaginare cosa accade a Roma; penso al fatto che questo viaggio mi ha dispensato dalla fatica e
dal disagio di seguire i lavori di pulizia della casa, tutti a carico di Paola.
Oggi, secondo quanto comunicatomi da Lei nella sola mail che ci siamo scambiati, dovrebbero iniziare la
nostra stanza da letto e, forse, a rimettere un po' d'ordine nei mobili del soggiorno. Mi sono preso una libertà
non da poco partendo.
Questi viaggi in USA, il secondo quest'anno, mi hanno fornito una percezione nuova della dimensione del mondo,
 facendomi sembrare che abbiamo molte possibilità a portata di mano, ben più di quanto noi stessi possiamo
 immaginare, ciascuno per se stesso.
Oggi sto desiderando l'arrivo, probabilmente perché è vicino; sino ad ora la accettazione senza neppure
 un ombra di insofferenza per la costrizione a bordo è stata assoluta, obbligatoria e indiscutibile, ma non rimossa.
Sono molto soddisfatto di aver saputo rapportarmi così serenamente al passare dei giorni, delle lunghe ore di malessere che,
non lo negherò, hanno reso pesanti alcuni momenti.
Ho dovuto sospendere la scrittura e la lettura in varie occasioni; ho eliminato il latte, il caffè ridotto a dosi pediatriche,
come i cibi e l'acqua mi sembra che non disseti. Forse un "Negroni" rimetterebbe a posto le cose.
Oggi proverò una birra.
Siamo a 60 Mn da St Thomas, sono le 9:45 del mattino e adesso provo a tornare alla lettura dell'Orlando Furioso,
altra grande scoperta di questo viaggio.
Contiene in radice i film d'azione americani, i super eroi della Marvel, "il Signore degli Anelli",
e per certi versi anche la magia di Harry Potter.
Avere l'Ariosto a corte doveva essere meglio di quanto oggi possa offrire l'intero palinsesto di Sky e Netfix insieme.

Il vento va e viene e si mette contro il nostro arrivo; ho capito chi era Omero, semplicemente uno che,
oltre che dotato di spirito poetico, evidentemente navigava, e deve aver preso diverse fregature in prossimità dell'approdo,
a causa di venti contro e mareggiate improvvise. D'altronde noi adesso ci stiamo aiutando con il motore,
altrimenti saremmo esattamente in direzione opposta al voluto.
Il pranzo, annunciatosi per me come una sofferenza, per l'obtorta obbligata ingestione di riso in bianco
e Mahi-Mahi, si rivela un momento di grande piacere.
Mangio pochissimo, dichiarando subito la mia nausea per il pesce e mi rifaccio con il Pinot Grigio,
oltre che con le pesche sciroppate finali.
Abbiamo tanto conversato che non ci siamo neppure accorti che un leggero vento favorevole
era tornato e che era bene cogliere l'occasione.
Rinaldo ci ha accompagnato nei nostri discorsi; lo pensiamo e consideriamo quanto avrebbe gustato
questi momenti, anzi giorni, in mezzo all'oceano; la sua barca è simile per dimensioni a questa
e in parte anche per attrezzatura, tanto che ormai non gli resta che partire all'esplorazione del Tirreno,
tanto per cominciare e non è poco.
Anche San Vincenzo torna spesso nel nostro parlare. È il nostro luogo della memoria,
dove affondano le nostre radici di piccoli bambini e ragazzi, a lungo seduti sul muretto davanti
casa a guardare l'orizzonte. Sembrava Capraia la meta più ambiziosa, sullo sfondo, la Corsica
ci richiamava ad avventure oltre confine e poi, l'immaginazione ci portava ad ovest, più come
idea del possibile che come programma.
I programmi dei ragazzi sono come i sogni che svaniscono all'alba dell'età adulta, rimandati a tempi che,
prima o poi, forse, chissà, verranno.
Troppo sogno e troppo rimandare non portano però in alcun luogo; si invecchierebbe senza fare nulla.
Meglio prendere quello che arriva alla nostra portata, quando passa, anche se solo per imboccare le strade mai percorse vicino a casa.

Sono le 16:00. Tra un'ora, poco più, sarà buio. Arriveremo tra le isole di Jost Van Dyke e Tortola a notte fonda.
Faremo i turni per passare e raggiungere la nostra boa, per la quale Marco dopo pranzo ha preparato la cima di ormeggio.

Il programma è di passare lo scampolo di notte che resta a riposare, di svegliarsi col sole, di fare un tuffo,
di gonfiare il dinghy e di andare a Tortola, West End, a fare colazione. Tra poche ore sapremo
se il nostro programma si concluderà come ora previsto.

Alle 16:30, Marco avvista la terra!!! A dritta  St Thomas e a sinistra Tortola.
Subito dopo aver "cacciato il GIB" con comico tentativo da parte mia che ero stavolta addetto al rilascio
della cima dell'avvolgitore, di contrastare gli sforzi di Marco che tentava invano di estrarlo, mentre io lo bloccavo.
Le risate, a GIB spiegato, si sono aggiunte all'avvistamento della terra, dopo 10 giorni e 30' dopo aver mollato
gli ormeggi in Oxford Maryland.
Abbiamo ancora 25 Mn da percorrere, in compagnia di birra, crackers e salame.
Passiamo tra Jost Van Dyke e St Thomas alle 22:30 e entriamo nella grande baia tra Tortola e St John,
dove attracchiamo ad una boa in Leinster Bay alle 11:15 ora di NY, 00:15 ora delle VI, sotto una luna
quasi piena che rende inutile la potente torcia elettrica per cercare una boa libera.
Ci abbracciamo soddisfatti di aver concluso il lungo trasferimento, consapevoli che, a parte lo strappo
della randa, tutto è filato liscio senza problemi tecnici.
Sono dispiaciuto che il mio stato fisico da principiante delle lunghe permanenze a bordo abbia costretto
Marco a fare tutto da solo, quando la mia indole mi avrebbe spinto ad essere più collaborativo in tutto.
Dopo 10 giorni, 7 ore e 15' di navigazione, finalmente la chiglia si riposerà stanotte, insieme a noi nel silenzio assoluto,
rotto dal solo delicato frinire dei grilli proveniente dalla vicina costa coperta di verde di St. John.

Siamo sdraiati nel pozzetto, con gin tonic e olive, a gustarci la definitiva perdita dei ritmi e degli orari e
ad assaporare l'infinito piacere di questo momento.


Martedi 24 novembre - giorno 12 - il tuffo e il primo giorno alle Isole Vergini

Il risveglio è naturale, accompagnato dalla luce del giorno.
Il cielo è coperto, la temperatura mite, l'acqua a 27 gradi. Ci tuffiamo quasi a battezzare la giornata e l'arrivo,
dopo i giorni di navigazione.
Estraiamo il dinghy e il motore  dal gavone del pozzetto, lo gonfiamo, lo teniamo in coperta e ci spostiamo nell'isola di fronte,
Tortola, precisamente in West End, dove all'Immigration Office ci registriamo per l'ingresso nelle BVI.
La burocrazia è uguale in tutto il mondo; impiegati pigri compiono svogliati e lenti le operazioni di controllo,
incasso, timbro dei passaporti. Uno di loro. Come in qualsiasi ufficio italiano, invia messaggi col telefono
 e ha il giornale aperto sulla scrivania, mente la fila si ingrossa. Ma non fa niente, siamo ai Caraibi,
non c'è fretta per consumare la giornata.
Il bar Scaramouche, del ragazzo di San Vincenzo, sta facendo pulizie per la riapertura e dirottiamo
su un delizioso bar creolo dove consumiamo una ottima colazione in stile americano/inglese, con tost,
scrumbled eggs, bacon and sausages, tortini di patate, frutta  e degli splendidi, americanissimi
oranges juice conservati e con ghiaccio, che avrei accuratamente evitato in ogni altro posto
del mondo se non qui.
Il wi-fi è perfetto e ci consente il lungo e noioso disbrigo della posta.
Si telefona, si inviano messaggi, si ricontatta il mondo lasciato a casa, qui dal paradiso.
Facciamo benzina per il motore del dinghy, che abbiamo azionato a remi fino nelle prime ore del mattino.

Torniamo a bordo e mi sembra di rientrare a casa. Facciamo rotta per Norman Island, dove la
 Pirates Bay ci attende, con i suoi Painkiller e appetizer vari.

Ancoriamo, buoni ultimi della fila di tutte le barche presenti, oltre l'ultima boa da turisti
(noi apparteniamo di diritto ad altra categoria ormai) e montiamo il motore sul dinghy.

Qui l'imprevisto maggiore ci spiazza. Il motorino 8 cv Yamaha non ne vuole sapere di partire.
È fermo da soli sei mesi e, tra le varie manutenzioni e prove, Marco non ne aveva verificato
il funzionamento prima della partenza.
Cambio candele, smontaggi vari, centinaia di tirate di corda, gocce di benzina sulla superficie dell'acqua.
 Imprecazioni tra l'inglese e l'italiano mentre il sole tramontava, ormai intorno alle 17:00.
La serata stava sfumando, quando finalmente, come un tappo di champagne che salta,  il motore gira!
Si è sbloccato qualcosa. Marco parte in un paio di giri festosi e di prova intorno alla barca, nel fuoco del tramonto,
documentati da un mio filmato.
Non spegniamo il motore e finalmente andiamo a terra, dove ci aspettano i nostri aperitivi.
Alla fine si mangia: crispy  calamari e crocchette di conches frites; doppio giro di Painkiller
e infine ritorno a notte fonda (ore 21:00), su Blue Note.
Mentre scrivo queste note nel pozzetto, piluccando un'uva geneticamente modificata, dolcissima,
senza semi e con buccia sottilissima, acquistata al supermercato di Tortola, Marco si addormenta,
forse stremato per gli sforzi di accendere il motore del dinghy.
Ora chiudo e lo sveglio per andare a dormire.
Sono le 21:37, di un fantastico martedì 24 novembre 2015.


Mercoledì 25 novembre - giorno 13 – Norman Island

Le nostre notti sono ormai senza sogni, immerse nel sonno immobile di una barca all'ancora,
ma finiscono comunque all'alba, quando la luce naturale ci chiama all'azione.
Oggi colazione in barca con succhi, cereali e frutta.
Poi trekking panoramico su Norman Island e ritorno a Pirates Bay con bagno incorporato.
Migliaia di farfalle bianche hanno accompagnato la nostra passeggiata, su uno stretto sentiero
ancora poco battuto, sul quale erbe fresche con piccoli fiori formavano un tappeto delicato
da calpestare con rispetto.
Paguri rossi ci attraversano il cammino, cosparso anche dalle mute di grossi carapaci di granchi
terricoli, fino alle quote più alte della piccola isola.
Il ritorno in barca è accogliente come un rientro a casa dopo una gita.
Doccia e pronti.
Il pranzo gustoso, con il gin and tonic, formaggio, cetriolini inglesi, olive, prosciutto cotto,
pane e vino rosso.
Il post pranzo un'ora di grazia regalata agli uomini, all'ombra del tendalino e con il vento da est caraibico a rinfrescarci.
Alle 15:00 torniamo al bar, per il Wi-FI e per goderci in solitudine un paio di painkiller pomeridiani.
Penso che domani è l'ultimo dei miei giorni in V.I., che dovrò preparare il bagaglio e avviarmi al ritorno.
Mi rendo conto che con Marco ho passato giorni di grande pienezza e comunicazione,
più intensi di quanto possa essermi capitato con i tanti cari amici che ho la fortuna di avere.
L'adolescenza condivisa, ma soprattutto l'affinità caratteriale e la capacità di adattamento
che abbiamo messo in atto in questi giorni, hanno realizzato un miracolo di naturalezza nel rapporto ho vicinanza.
Conserverò per sempre il ricordo della sua pazienza quando sono sprofondato nel malessere
del mal di mare e in distanza l'ho lasciato solo a gestire buona parte della traversata.
Questa è amicizia.
Alle 16:30 siamo alla fine del secondo Painkiller in Pirates Bay e stiamo programmando
 le prossime vacanze. Mi sembra tutto meraviglioso.

Non posso fare a meno di pensare al sonetto di Dante, che allude ad un ideale viaggio
 in mare con gli amici più cari e con il pensiero alle donne amate:
 
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
8di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
11con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
14sì come i’ credo che saremmo noi.

È una sensazione indescrivibile, quella che sto vivendo.

Poca gente e poche barche oggi; domani, ultimo giovedì di novembre, è il Giorno del Ringraziamento,
(Thanksgiving), ma non c'è nesso, crediamo, tra le due cose. Anzi, essendo questo l'unico "ponte"
 istituzionalizzato degli USA, ci sarebbe da aspettarsi una intensificazione delle presenze turistiche e non una diminuzione.

Torniamo a bordo con l'idea di tornare a bere qualcosa dopo cena, cosa che risulterà impossibile
per la precoce chiusura del bar-ristorante Pirates per mancanza di clienti.

La nostra serata è stata comunque perfetta, con il solo piatto di spaghetti del periodo, consumato in quantità notevoli.


Giovedì 26 novembre - giorno 14  -  St Thomas

Notte di sonno profondo. Risveglio alle 7:00, già con il sole.
Oggi si torna a Red Hook, St. Thomas.
Le cose da fare sono ancora molte, a dispetto del tempo della vacanza ormai agli sgoccioli.
Abbiamo voglia e tempo però per un bagno con maschera e pinne ad ammirare pesci e coralli;
 l'incontro più bello e toccante, una piccola tartaruga di circa 40 cm di lunghezza, che sono arrivato quasi a toccare,
a poca profondità, si aggirava curiosando tra le rocce; leggera e veloce scorre via dopo averci deliziato con la sua presenza.
Torniamo a bordo, mangiamo qualcosa e poi via, si parte.
Dobbiamo raggiungere il Customer Office in St. John, per il check in nelle U.S.V.I., per chi come noi proviene dalle isole britanniche.
Le boe dove lasciare Blue Note sono al di qua di una punta, dietro la quale si apre il porto dove si trova l'ufficio;
 in due e con mare calmo il piccolo gommone corre veloce.
In ufficio tutto bene e rapido, ma con la sorpresa che il giorno di festa, oggi è Thanksgiving, il servizio si paga (35 dollari).
La mia identificazione non differisce da quella dell'arrivo all'aeroporto, con tanto di rilevazione delle impronte digitali e fotografia.
Torniamo a missile in barca.
Smontiamo il motore, sistemiamo il gommone in coperta, svuotiamo un gavone dei parabordi e delle cime
che prepariamo per l'arrivo a Red Hook, in St. Thomas.
Siamo un po' in ritardo. Marco ha già contattato il velaio per tentare la riparazione della randa strappata
all'inizio della traversata, nei due giorni in cui il vento ha soffiato forte, mentre io languivo in cabina.
Tra St.John e St. Thomas basta mezz'ora tra motore e vela, visto il pochissimo vento.
Arriviamo e ci assegnano un posto all'ultimo molo in fondo alla baia, dove Marco fa appena a tempo
a rendersi conto che rischiavamo di toccare il fondo, quando il morbido tocco sulla sabbia si avverte
inconfondibile e ci piantiamo, a 20 metri dall'ormeggio.
Non si sa come, lavorando di motore e timone, Blue Note ruota lentamente, fino a tornare in galleggiamento,
senza bisogno di intervento esterno, toccando solo per un altro istante il fondo, ci svincoliamo
dall'abbraccio fangoso e ci dirigiamo al molo precedente, dove finalmente Marco, con manovra millimetrica,
lenta e perfetta, entra tra i due pali di ormeggio e possiamo lanciare le cime per fermarci.
Sono circa le 16:30 e il porto che ci ha accolto rappresenta l'altro capo del filo del lungo percorso iniziato
mollando le cime in Oxford Maryland, lo scorso venerdì 13 novembre, alle ore 16.
Sono passati quindi 13 interi giorni e una manciata di minuti, di avventura, mare, vento, malessere, vomito,
vacanza, tuffi, pranzi e cene, bagni, delfini, tartarughe, aperitivi, passeggiate, racconti, ricordi, letture, dialoghi,
senza mai un minuto di insofferenza, di dissapore o di conflitto anche solo sulla scelta del vino rosso o bianco.

Posso dire di aver concluso con Marco una prova di amicizia che affonda le sue radici nell'adolescenza
 e che ci ha fatto incontrare in questo 2015 per ben due volte qui ai Caraibi, adulti, con una vita di lavoro
e di storie familiari che ci hanno tenuti separati per oltre 20 anni, che però non sembrano aver lasciato traccia nel nostro spirito.

Dopo aver smontato la randa, sommariamente piegata in coperta, impresa non da poco, ci siamo
 ritemprati con la più lunga e comoda doccia degli ultimi mesi, negli spaziosissimi e puliti servizi del porto,
dove le cabine doccia sono di circa cm 160 x 110, forse per indennizzare i naviganti delle ristrettezze delle loro barche.

Il Thanksgiving dinner ci attendeva alle 18:30, che a noi sembravano già notte fonda.
Siamo sprofondati nel sonno intorno alle 21:30, saldamente legati alla banchina.


Venerdì 27 novembre - giorno 15 - St Thomas - JFK NY

Alle 6:30 Marco ha già apparecchiato la colazione; dopo poco mi alzo anche io.
Dobbiamo portare la randa sulla terrazza del bar che domina il marina, per stenderla, misurarla
e poi ripiegarla con maggiore cura, per lasciarla poi al velaio per il preventivo di riparazione.

L'operazione avviene tra gli sguardi curiosi degli avventori più mattinieri del bar, che consumavano le loro colazioni.
Il rilievo nel mio stile, con cura e dettagli, come si conviene per una misurazione a quattro mani
ad opera di un architetto e di un ingegnere nucleare.
Il pacchetto derivante dalla accurata piegatura stupefacente per la sua piccolezza, rispetto a quanto
potevamo temere.
Esaurita la pratica "main sail", Marco, instancabile, sale sull'albero per sostituire l'anemometro del Raymarine;
constatato che quello vecchio, sostituito in partenza, funziona benissimo, si decide per la restituzione di quello
inutilmente acquistato. Internet consente facili rapporti tra venditori e compratori.
Visto che il mio volo ha 1h 30' di ritardo, annunciato mi dalla APP della Delta,
sulla quale avevo ricevuto la mia carta di imbarco, l'invincibile comandante Mastrapasqua torna
sull'albero e smonta l'antenna per captare i WI-FI.
Ormai il mio bagaglio è pronto, tutto quello che si poteva fare in barca è stato fatto; scatta una
ultima birra, prima di andare al bar accanto alla stazione dei taxi, dove, alla nostra ordinazione gemella,
BLT, patatine e birra Caribe, il simpatico oste ci definisce "easy guys", cosa che prendiamo come un complimento.

L'abbraccio prima di salire sul taxi è di quelli che si ricordano, così come tutto il resto di questi giorni.

Il volo per NY mi consente di aggiornare queste note di viaggio.
Mi accorgo di essere stanco, di desiderare di buttarmi stasera in un vero letto KING size di albergo americano,
che mi sembrerà una porta aerei immobile in rada.

Vedo dal finestrino le luci di New York, dove stiamo per atterrare; è sceso ora il carrello.
Chiudo le note e gli occhi.

Raggiungere l'hotel è facile, mi sembra di conoscere modalità e luoghi.
Federal Circle Station by Air Train, poi telefonata al Marriott e in 5 minuti ecco la navetta.
La stanza è spaziosa, con mobili nuovi, letto enorme e con una grande finestra al sesto piano.
Peccato che tanta abbondanza non sia apprezzata dal mio corpo, che ha un cedimento improvviso:
brividi di freddo, diarrea e continui risvegli in un sonno a tratti.
Doppia micro fibra per sconfiggere i brividi e piano piano la situazione migliora.
La notte è lunga, quando spengo la luce sono le 9:00.


Sabato 28 novembre - giorno 16 - visita a NY e partenza

Alle 6:30 sono in piedi; mi taglio la barba da marinaio, ormai inutile, faccio una gran doccia, mi sento meglio.
L'aurora alla finestra non ha nulla da invidiare a quelle atlantiche, sostituendo il fascino della natura solitaria
con quello delle luci cittadine sullo sfondo.
Quando scendo per la colazione sono il primo. L'hotel ha una succursale di Starbucks nella hall e ne approfitto.
Sandwich morbido con frittata e bacon, frutta e cappuccino.
Poi mi lancio con il mio inglese da sopravvivenza per chiedere come arrivare a NY, venendo anche fornito
di subway map. Sono tutti molto gentili.
Lascio il bagaglio in albergo, torno con la navetta a Federal Circle e, troppo sicuro di me, sbaglio subito Air Train,
ma me ne accorgo e il danno è limitato a dieci minuti per tornare indietro alla prima stazione e salire sul giusto
treno automatico per Jamaica Station.
Biglietto andata e ritorno per Manhattan + Air Train 15 dollari. Lunghi percorsi tra ascensori molto provati dalle
continue corse, corridoi sudici, odori di umanità mista ad olio lubrificante e caldo dei motori elettrici.
La linea della subway è la "E", invasa da questuanti e barboni buttati lunghi sulle panche di testa e coda delle carrozze.
L'utenza è formata da una umanità mista, meticcia, malvestita, malandata, con ibride comparse di turisti che, come me,
hanno scelto il treno per raggiungere il centro della città.
Dopo circa 35 minuti, alle 10:00, emergo all'incrocio tra la 5 Av e la 53 St, a un passo da Central Park, dall'hotel Plaza,
dall'Apple Store con il suo cubo trasparente di ingresso.
Sono colpito dalla inaspettata, evidente presenza di gente male in arnese che fruga nei cestini della spazzatura
 e di homeless che dormono tra i cespugli del parco.
Cammino un'ora circa finché decido di andare al Moma, poco distante.
Entro presto, alle 11:00 ancora c'è poca folla, che aumenterà rapidamente fino alle 13 quando esco. Ritrovo
 i quadri e le sculture impresse nella memoria; è la terza visita per me a questo museo, posso dire di conoscerlo.
Fuori, non resisto all'acquisto di un "hot-dog", invogliato da una mamma con due bambini ferma al chioschetto
all'angolo della strada. Poi mi viene un dubbio che anche i chioschetti degli "hot-dog" appartengano a una catena;
sono tutti identici, con gli stessi cartelli che riproducono i prodotti e tutti gestiti da immigrati indiani o similari.

Passeggiare per NY procura un primo impatto improntato a meraviglia e scetticismo, progressivamente sostituito
 da allegria e buon umore.
Le strade sono invase dai taxi, quasi inesistenti le auto private. I parcheggi sono pochissimi e solo sulle strade trasversali alle avenue,
dove è impossibile fermarsi.
Ogni incrocio è vigilato da uno o più poliziotti, che smistano traffico veicolare e pedonale e danno la netta sensazione
di essere lì a svolgere un compito di cui sono consapevoli e rispettosi.
Un quantitativo impressionante di volontari del Salvation Army, raccoglie donazioni semplicemente agitando campanelli
e con musiche di sottofondo a sfondo patriottico; il clima natalizio, come da tradizione dopo il Thanksgiving,
ha già invaso le strade e le vetrine.
Vorrei raggiungere Time Square ma rinuncio perché ancora troppo lontana e nella direzione opposta alla stazione
della metro che devo di nuovo prendere per tornare in zona aeroporto.
Sono soddisfatto però; ho percorso chilometri a piedi e con i mezzi pubblici, in un groviglio di linee e di alternative
che fanno impallidire i nostri miseri servizi.
Al rientro in albergo, buttarsi sui divani della hall equivale ad una seduta di massaggi in una SPA.
In barca, a parte la passeggiata su Norman Island, non ci siamo mossi e piedi, gambe e schiena risentono
dell'improvvisa tappa forzata a cui li ho sottoposti.
Adesso sono seduto al gate B37 in attesa dell'imbarco, dopo aver subito una perquisizione esagerata da parte di una specie
di orso al controllo post metal detector. Fucking cops.

Siamo in pochi in aereo; ho il posto libero accanto a me e sono il solo su tutta la fila , 1 su 7, salvo ritardatari molesti,
che a questo punto non dovrebbero arrivare.

Aggiornando Marco sui miei spostamenti, mi ha comunicato di aver cambiato il sensore dell'interruttore della pompa di sentina,
che si bloccava. Non riesce a rimandare se individua lavori da fare; la barca è ormai una parte di sé.

Il contatto con casa, tramite whatsapp, è ripreso. È bello essere atteso.

Sento il rumore del carrello che rientra dopo lo stacco del decollo.

Aspetto la cena con impazienza.

Dormo.

29/11/2015